Archivio Prog

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F. F. N. Fair Weather Fairfield Parlour Fairport Convention Faithful Breath La Famiglia degli Ortega Fantasy

Far East Family Band Far Out Festa Mobile Fields Finch Finnforest Fire G. F. Fitz-Gerald Flairck Flamen Dialis Flamengo Flash

Flashmen Flea On The Honey / Flea Formula 3 Flied Egg Frame Frob Fruupp Fuchsia Fusion Orchestra Fusioon Fuzzy Duck

 

 

  F.F.N.   - Nata a Bucarest nel 1971, la Formaţia Fără Nume (cioè "formazione senza nome") ha realizzato solo un paio di singoli e pochi album di alterno valore. Si tratta in pratica di un super-gruppo, dato che i suoi componenti arrivano tutti da precedenti esperienze nell'ambito del pop-rock romeno: il cantante Cristian Madolciu ha suonato con Sfera e Dynacord, ad esempio, mentre il chitarrista Gabi Litvin e il batterista Florin Dumitru sono entrambi ex-Mondial. Nel 1974 la band pubblica il primo singolo "Chemare"/"Îndemn", che riscuote un buon successo in patria e prepara la strada all'album di debutto,"Zece pași" (vale a dire "dieci passi"), pubblicato nel 1976. Il quintetto, con parti solo episodiche di tastiere, mostra una felice predisposizione a un pop-rock melodico che trova anche accenti più hard, oppure vira verso canzoni di buon livello, con la chitarra solista, le voci spesso corali e il flauto in evidenza. L'attacco di "Cetatea noastră" ("la nostra città") è un rock sincopato a dovere tra la chitarra, il canto a più voci e il flauto ficcante di Doru Donciu, come in "Definiție", e quindi in "Povestea ploii" ("la storia della pioggia"), dove i riff chitarristici di Litvin e la melodia s'integrano felicemente con i trilli del flauto. La chitarra e il basso dominano anche un pezzo come "Omagiu", con uno sporadico inserto di tastiere che riecheggia Bach. La melodia trionfa invece in altri pezzi quali "Speranța", una ballata costruita sul pianoforte e dal sognante arrangiamento orchestrale che può ricordare i grandi Beatles, con il flauto leggiadro in appoggio al tema. Di buon livello infine anche "Poluare" ("inquinamento"), con il flauto alla Jan Anderson e un pungente lavoro chitarristico di Litvin, come nella più tirata "Soare de-aș avea". A questo discreto esordio fa seguito "Zi cu zi" (cioè "giorno per giorno"), realizzato nel 1977 dallo stesso quintetto. Come dimostra la vivace title-track che apre la sequenza, il suono si è spostato ancor di più verso un pop melodico accattivante, ma senza grosse sorprese, con coretti piuttosto stucchevoli ("Vizita"), mentre Litvin si ritaglia pochi spazi interessanti: "Lumea tangibilă" ad esempio. Il resto sono essenzialmente canzoni, seppure di buona presa a tratti, come nel caso di "Albumul". A questo punto ci sono una serie di avvicendamenti in organico, e il terzo disco, "Un joc", uscito nel 1981 e sempre più orientato verso l'hard rock, è inciso senza Florin Dumitru e il flautista Donciu, con il nuovo batterista Lucian Rusu. In seguito, la band romena si è trasferita per anni in Nord America, tra Stati Uniti e Canada, dove nel 2008 viene realizzato l'album "In Blue Jeans", con i soli Cristian Madolciu e Silviu Olaru dei vecchi membri. La milanese Eastern Time ha ristampato il primo disco in CD con quattro bonus-tracks.

"Zece pași"

  Fair Weather   - Questo gruppo britannico nasce sulle ceneri degli Amen Corner, formazione di Cardiff che realizza un paio di album di pop psichedelico sul finire dei Sessanta. Il chitarrista e cantante Andy Fairweather Low fonda subito dopo il gruppo ispirato al suo nome, i Fair Weather appunto, e include quattro compagni di quell'esperienza: l'intento dichiarato è sviluppare un sound in linea col nuovo verbo progressivo. Il primo singolo pubblicato dalla RCA è il fortunato "Natural Sinner" (retro "Haven't I Tried?") che nel 1970 spinge la band fino al sesto posto nelle charts inglesi, mentre il 45 che segue ("Road to Freedom", con una cover di "Tutti Frutti" sul retro) non replica il successo. Nel 1971 i Fair Weather realizzano quindi il primo album "Beginning From an End", pubblicato dalla nuova label Neon: otto pezzi discreti, dove le sonorità prog sono inserite in un contesto di fiati, organo e chitarre, tra melodia e suggestioni di R&B ben filtrate. L'attacco di "God Cried Mother" è uno dei momenti migliori della sequenza: l'organo di Blue Weaver fa da sfondo a una trama valorizzata dai fiati e dalla buona voce di Fairwether Low, in un impasto di sicura presa. Influenze tra soul e hard rock fanno capolino invece in "Don't Mess with Cupid", che recupera un brano cantato da Otis Redding, con l'organo dalle tonalità intriganti che fa da base al canto. Nella title-track, abbinata a "I Hear You Knockin'", sale in cattedra la chitarra solista del leader con un riff ossessivo, la presenza sempre calda dell'organo e la batteria di Dennis Bryon, in un rock davvero acido dal refrain vocale vincente, così come la cover di "You Ain't No Friend", dominato ancora dai fiati, è un brass rock abbastanza tipico, tra il piano di Weaver e una chitarra dal tocco raffinato. "Sit and Think" è invece una ballata morbida, ricca di sfumature, con il leader impegnato alla chitarra acustica e il basso di Clive Taylor a supporto in uno schema più pensoso, che esalta il canto solista, mentre lo strumentale "Looking for the Red Label", con la tromba dell'ospite Bud Parkes protagonista, è un rock-blues ipnotico coi fiati affiancati da organo e piano elettrico. La qualità è buona, ma il prog annunciato rimane più defilato del previsto. Il successo comunque non arriva, e la band si sfalda a metà del 1971, nonostante la buona accoglienza della stampa. Nel 1972 è stato pubblicato un secondo disco intitolato "Let Your Mind Roll On", uscito per la tedesca Hansa: una raccolta di undici brani improntati a un hard rock ruvido e piuttosto mediocre. Nessun legame con il primo album, che senza essere un capolavoro proponeva un rock di sicuro interesse e suonato come si deve. Il chitarrista ha inciso in seguito molti album da solista, collaborando poi con artisti quali Roger Waters ed Eric Clapton, e Blue Weaver ha fatto parte degli Strawbs. Varie le ristampe in CD con bonus-tracks dei singoli.

"Beginning From an End"

  Fairfield Parlour   - I Farfield Parlour sono in realtà la nuova incarnazione dei Kaleidoscope, genuini interpreti della psichedelia inglese in dischi pregevoli come "Tangerine Dream" (1967) e "Faintly Blowing"(1969). La stessa line-up di quella band con la nuova sigla realizza il suo primo e unico album "From Home to Home"() nel 1970 per l'etichetta Vertigo, vera calamita del progressive britannico dell'epoca. Sono dodici tracce deliziose, tutte piuttosto brevi, nelle quali il cantante e tastierista Peter Daltrey e i suoi tre compagni mostrano di non aver tradito le loro radici musicali, sia pure aggiornando il discorso con arrangiamenti più sofisticati e nella strumentazione. Nella ricca sequenza risaltano la splendida "Free", dal giro melodico trascinante che cresce alla distanza, e altri esempi di colorato pop psichedelico come "Sunny side circus", tra i momenti più felici del disco. Non mancano agili rock-songs scandite dalla chitarra ("In my box"), o trame più corpose sostenute dal mellotron e ritmi marziali ("Soldier of the flesh"). La musica dei Farfield Parlour mostra nel complesso una romantica predilezione per i sentimenti più delicati ("I will always feel the same") e un certo lirismo nei toni: ne risultano ritratti molto originali, come "Emily", aperta dall'organo e poi col mellotron di sfondo, dove la bella voce di Daltrey è integrata dal coro, o anche la conclusiva "Drummer boy of Shiloh", più mossa. Il flauto del bassista Steve Clark caratterizza altri episodi prevalentemente acustici, come "By your bedside" e "Monkey", dove si ascolta anche il clavicembalo. Con le sue atmosfere melodiche, il gioco sempre efficace delle voci e soprattutto il timbro inconfondibile di un certo pop da camera tipicamente "british", venato di echi folk-psichedelici, l'unico disco firmato dai Fairfield Parlour merita senz'altro attenzione e rispetto. Splendida la versione in CD della Repertoire (2004), che include tutti i testi oltre a ben otto bonus-track di grande interesse. A nome dei Kaleidoscope è stato pubblicato nel 1991 anche l'album postumo "White Faced Lady".

"From Home to Home"

  Fairport Convention   - Importante formazione inglese, i Fairport Convention sono tra i capostipiti del cosiddetto folk-rock che non è poca parte del movimento progressive. Nati nel 1967 intorno a Richard Thompson (chitarra), Ian Matthews (voce) e Ashley Hutchings (basso) tra gli altri, i Fairport si rifanno inizialmente al folk-rock americano, come nel primo album omonimo nel 1968, ma solo quando scelgono il folklore britannico, a partire da "What We Did On Our Holidays"(1969), cominciano a farsi conoscere per uno stile più peculiare, grazie anche a una nuova cantante come Sandy Denny, che sostituisce Judy Dyble. I dischi più acclamati e giustamente famosi restano i successivi, come "Unhalfbricking" () , uscito sempre nel 1969: nella sequenza di otto tracce non ci sono punti deboli, ma spicca soprattutto la splendida "Sailor's Life", primo traditional rielaborato in chiave elettrica, con una lunga coda strumentale davvero travolgente. Ci sono anche tre cover di Bob Dylan, come "Percy's Song" e la più vivace "Si tu dois partir" (tradotta però in francese), ma l'asse portante è costituito da Richard Thompson e dalla voce di Sandy Denny, dotata di un timbro potente e vibrante che lascia un segno indelebile in brani come "Genesis Hall" e quindi in "Who Knows Where the Times Goes?", che portano la sua firma. Sullo stesso livello è il successivo "Liege & Lief"(ancora del '69), che segue la scomparsa del primo batterista Martin Lamble in un tragico incidente d'auto collettivo, e che molti considerano il vero manifesto del folk-rock inglese, dove gli strumenti elettrici (il violino di Dave Swarbrick, la chitarra di Thompson, il basso di Hutchings) affiancano ormai in maniera compiuta e sistematica quelli tradizionali. L'effetto delle antiche ballate inglesi e scozzesi rielaborate in tal modo è davvero seducente: episodi come "Matthy Groves" e "Tam Lin" restano in mente e scompaginano la scena più tradizionale del folk, avvicinandola per la prima volta al circuito del rock. Nel 1970 però, a sorpresa, Hutchings lascia la band per formare gli Steeleye Span, mentre la stessa cantante, dopo un solo album con il gruppo Fotheringay, comincia un percorso da solista. I Fairport, col nuovo bassista Dave Pegg, proseguono così sotto la guida del violinista Swarbrick e Thompson, che firmano gran parte del materiale di "Full House" (1970), dove l'assenza di una voce solista si avverte, ma non mancano affatto pezzi di valore, da "Walk Awhile" fino a "Now Be Thankful", passando per l'ipnotica "Sloth". Il lungo seguito di carriera vive di alti e bassi, tra partenze, rotture e ritorni: si segnala tra l'altro il concept di buon successo "Babbacombe Lee" (1971). La Denny ritornerà nel 1974 ("Live a Moveable Feast"), quando il gruppo sembra trovare nuovi entusiasmi, per una carriera ancora lunga che arriva fino agli anni novanta, ma la cantante, in preda a una grave crisi depressiva, muore nel 1978. Nel 1972 era uscita una splendida raccolta basata sui primi lavori del gruppo ("The History of Fairport Convention"): una sequenza di piccoli-grandi capolavori che bastano a collocare tranquillamente i Fairport Convention tra i migliori prodotti di una stagione pur ricca di contaminazioni d'ogni tipo. Il gruppo è ancora attivo: qui c'è il sito ufficiale.

"Liege & Lief"

  Faithful Breath   - Band tedesca originaria di Bochum che si forma nel 1967 e si stabilizza dopo varie traversie alla fine del 1972, quando il nuovo tastierista Manfred Von Buttlar introduce sonorità sinfoniche che diventano predominanti. Nel 1973 il quartetto registra le tracce del suo primo album "Fading Beauty" (), pubblicato però all'inizio del 1974 in edizione privata: il disco si compone di due lunghe suites improntate a un sinfonismo rarefatto e malinconico, con mellotron e organo in primo piano. Se la prima parte di "Autumn Fantasia" scorre omogenea e suggestiva, con le tastiere supportate da misurati interventi di chitarra (Heinz Mikus), il ritmo si fa più vivace nella seconda parte, "Lingering Cold": qui si ascolta anche la delicata voce femminile di Renate Heemann, che insieme al pianoforte di Von Buttlar crea un'atmosfera di elegante romanticismo. La seconda traccia, "Tharsis", è forse più articolata, senza tradire le caratteristiche di fondo del gruppo tedesco. Stavolta è il chitarrista Mikus a interpretare liriche fantasiose, in inglese, sulla fine della terra: la voce non è eccelsa, ma il pezzo ha il suo fascino, con brevi spezzature ritmiche inserite nella solennità del tema. Organo e synth sono ancora gli strumenti-guida, in uno spartito lento e avvolgente nel quale però la chitarra solista incide note lunghe e cristalline. Pur con qualche lungaggine e piccole sbavature, si tratta di un buon album, oggi considerato un classico della scena germanica. Dopo una pausa, la band registra poi il singolo "Stick in Your Eyes / Back on My Hill" (1977) con il nuovo cantante Jürgen Renfordt e quindi un secondo disco come "Back On My Hill" nel 1980. Fin dall'apertura della title-track il quintetto mostra un profilo più aggiornato al rock melodico del tempo, ma sempre con una vena apprezzabile. E' una sequenza di quattro pezzi più brevi di buon livello, ad esempio "Stick in Your Eyes", con arrangiamenti più compatti e diretti dominati dalle tastiere, e una suite come "Judgement Day", che recupera in parte il rock sinfonico dei Settanta: le frasi magniloquenti delle tastiere, mellotron incluso, sono però abbinate a mordenti riff chitarristici e alle discrete parti vocali di Renfordt. Il risultato è indubbiamente interessante, ma è l'ultimo tributo al prog della band tedesca. Il gruppo che si ripresenta in seguito, con Mikus, il batterista Jürgen Düsterloh e il bassista Horst Stabenow, suona invece puro "heavy metal" e produce dischi come "Hard Breath" o "Gold'n'Glory" nel corso degli Ottanta. Ristampe di Garden Of Delights.

"Fading Beauty"

  La Famiglia degli Ortega   - Esperienza minore del pop-rock italiano dei Settanta, questa formazione di ben dodici elementi, nata a Genova nel 1972, prende il nome dai due fratelli venezuelani Nestor e Ruben Ortega (voce e chitarra), che però abbandonano poco prima d'incidere l'unico album ufficiale. In precedenza, la Famiglia si era fatta notare al Festival di Sanremo, nell'esibizione coloratissima e affollata dei Delirium di "Jesahel" (1972), e soprattutto suonando al Genova Pop Festival dello stesso anno. Nell'album omonimo, pubblicato nel 1973 dalla Carosello Records e composto di otto tracce, prevale un morbido folk-rock melodico dominato dalle voci maschili e femminili, spesso corali, con episodici riferimenti prog. E' vero che le parti di batteria e tastiere sono assicurate da ospiti di rilievo, tra i quali quali Tullio De Piscopo e Antonio Marangolo (dei Flea), ma in generale il disco suona molto "sixties", pur se i discreti arrangiamenti rendono piacevole una sequenza che scorre tra melodia e spunti recitativi: ad esempio nell'attacco di "Arcipelago", con effetti speciali in un crescendo di pathos. Si segnalano "Guida la mia lancia", con il canto solista e i cori che si avvicendano insieme a pianoforte e chitarra elettrica in appoggio, e poi "Sogno Parigi", costruita sul pianoforte e sulla voce di Pierfranco Ledda. "Merryon" è invece una sorta di country-blues tiratissimo sui cori femminili, con l'armonica a bocca e il violino protagonisti, secondo un certo spirito folk dei Sessanta. Il violino caratterizza anche "Inversione dei fattori", quasi cameristico all'inizio tra gli archi e un coro solenne, prima di tracciare un ritratto molto acido dell'uomo moderno "chiuso in uno zoo", mentre l'epilogo di "Awamalaia" si ricollega alla traccia iniziale nella musica e nel testo interpretato da Isabella Lombardi. Alla fine il legame più forte con il prog dei Settanta viene, non a caso, da una garbata cover di "John Barleycorn", celeberrimo brano dei Traffic: qui la bella voce femminile si muove a suo agio nella prima parte sull'arpeggio di chitarra, poi supportato da piano e batteria, e nella seconda ("Due aquile") il pezzo si sviluppa s'una limpida chitarra acustica e quindi sul coro. Dopo l'uscita del singolo "Stanlio e Ollio" (1974) e un tour americano di spalla al cantante Michele, la formazione si scioglie e tre dei componenti danno quindi vita al nuovo gruppo Assemblea Musicale Teatrale. Ristampe in CD di Vinyl Magic, anche con bonus-tracks.

"La Famiglia degli Ortega"

  Fantasy   - Quella dei Fantasy è una delle più delicate proposte della scena inglese, debitrice di un immaginario romantico e introspettivo che pare discendere dai pionieri del prog sinfonico, Moody Blues in testa. Originario del Kent, il gruppo si forma nel 1970 con il nome di Chapel Farm, e dopo aver scelto la sigla definitiva spunta finalmente un contratto con la Polydor. Dopo il 45 giri "Politely Insane"/"I Was Once Aware", nel Dicembre del 1973 viene così pubblicato l'album "Paint a Picture"(). Nel quintetto di base (tastiere, chitarra, basso, batteria, voce/chitarra) spiccano le convincenti parti vocali di Paul Lawrence, ma anche quelle corali, in particolare nella bella title-track posta in apertura, tra sonorità morbide dominate dalle tastiere di David Metcalfe, che pur senza strafare fa abbondante uso di mellotron e organo. In generale, la sequenza scorre con innegabile eleganza lungo le dieci tracce, ma la musica del gruppo abbisogna di ripetuti ascolti per svelare tutte le sue potenzialità. La trama sonora s'increspa di rado, come nella più energica "Circus", corroborata a dovere dalla chitarra solista di Peter James, disegnando un paesaggio ricco di sfumature e atmosfere evocative, che lascia poco spazio al virtuosismo dei singoli in favore di sonorità compatte, sempre ben orchestrate, talvolta spruzzate di una discreta vena melodica. I pochi momenti solisti di rilievo sono tutti opera del chitarrista, ad esempio in coda alla più tirata "Young Man's Fortune": in generale prevalgono quadretti impregnati di trasognata poesia anche nelle liriche, come "Thank Christ", ancora efficace nelle suggestive parti vocali, o anche la più breve "Widow", un episodio quasi cameristico con violoncello e pianoforte intorno alla voce, fino all'epilogo di "Silent Mime", articolata sulle tastiere e le voci, che fa a meno delle percussioni. L'unico album realizzato dai Fantasy si guadagna insomma un posto di tutto rispetto nell'ambito del progressive britannico, proprio nella sua delicata e peculiare cifra stilistica, che forse appare in leggero ritardo sui modelli che ispirano la band. Dopo la pubblicazione dell'album, comunque, i Fantasy effettuano solo pochi concerti, uno anche di spalla ai Queen al celebre Marquee, ma un secondo disco progettato all'epoca, "Beyond the Beyond", rimane nel cassetto portando allo scioglimento nel 1974, e ha visto finalmente la luce solo postumo nel 1992 (Audio Archives). Tra le varie ristampe disponibili, anche in vinile, quella in CD dell'etichetta Aurora include come bonus-track il retro del 45 giri, a suo tempo escluso dall'album originale.

"Paint a Picture"

  Far East Family Band   - Una delle più note formazioni prog giapponesi, i Far East Family Band nascono su iniziativa di Fumio Miyashita. Due anni dopo un disco firmato Far Out, il cantante e chitarrista mette insieme a Tokyo un nuovo gruppo che sviluppa ulteriormente lo stile di quell'esperienza, avvicinandosi ai corrieri cosmici tedeschi, ma con robuste iniezioni rock qua e là. Nel primo disco, "The Cave - Down to the Earth", pubblicato nel 1975, la musica vive in questa oscillazione tra suoni rarefatti e sintetici ("Undiscovered Northern Land") e spunti chitarristici di buon livello ("Birds Flying to the Cave"), con lunghi episodi sperimentali e rumoristici ("Four Minds") e affascinanti progressioni con le tastiere e le voci in evidenza: ad esempio "Saying to the Land". Bella soprattutto la melodia evocativa di "Mistery of Nothern Space", ben cantata da Miyashita in lingua madre, mentre la lunga chiusura di "Transmigration" mette insieme tutti i sapori dell'album: la chitarra floydiana all'interno di una morbido space rock, tra voci trasognate e piccoli effetti speciali. Qualche mese più tardi, lo stesso anno, Miyashita e soci pubblicano una versione alternativa dello stesso disco, intitolata "Nipponjin", proprio come l'album dei Far Out: alcuni pezzi hanno un titolo diverso e stavolta le parti vocali sono in inglese, ma è da notare che la produzione e il missaggio sono curati dal celebre Klaus Schulze, rinomato esponente della Kosmische Musik tedesca. Nel 1976 esce "Parallel World" (), ancora prodotto da Schulze, che secondo molti è il disco più riuscito del gruppo nipponico. Sono soprattutto lunghe escursioni spaziali con echi di voci lontane ("Entering / Times"), dominate da sintetizzatori, chitarre ad effetto e percussioni tribali, alternate a un solo episodio cantato, come la ballata "Kokoro". Il vero pezzo forte della sequenza è però la lunghissima title-track, una fascinosa suite, anzi un viaggio interstellare di trenta minuti che coniuga elettronica e space rock: i due tastieristi del gruppo, il celebre Kitaro (in seguito star della musica New Age) e Akira Ito, si destreggiano al meglio tra organo, mellotron e synth, ben assecondati dalle scorribande del percussionista Shizuo Takasaki, e naturalmente dalle chitarre, dando vita a un manifesto di rock cosmico-elettronico sicuramente degno dei capostipiti riconosciuti della scena teutonica. Tra suggestive voci aliene, echi frammentari di melodie orientali e momenti di stasi cosmica, questa rimane la migliore prova del gruppo nipponico. L'ultimo disco firmato Far East Family Band è "Tenkujin" (1977): il gruppo si è ridotto a quartetto, per la defezione di Kitaro e del batterista, e adesso Miyashita suona in prima persona tutte le tastiere. Le residue tracce di rock spaziale si concentrano nella breve "Descension" e parzialmente nella title-track, ma cedono il passo a lunghe ballate atmosferiche in lingua madre, come nel primo album: ad esempio "Timeless Phase", forse la migliore, con lo sfondo liquido delle tastiere e la chitarra ad effetto di Hirohito Fukushima intorno alla voce del leader. Meno interessante il resto, anche se la finale "Ascension", una maestosa progressione strumentale sugli archi e le tastiere, chiude in maniera suggestiva la parabola della band giapponese. In seguito alla separazione, nel 1978, Miyashita incide molti dischi da solista, come lo stesso Kitaro. Tra le varie ristampe si segnalano quelle a cura della label inglese Phoenix, in CD e vinile.

"Parallel World"

  Far Out   - Spesso questo gruppo giapponese viene assimilato tout court alla più nota Far East Family Band, della quale sarebbe una sorta di primo atto embrionale. In realtà, a ben vedere il solo membro in comune è il cantante e chitarrista Fumio Miyashita (classe 1949), personaggio di rilievo della scena prog-rock nipponica. È proprio quest'ultimo, dopo esperienze minori, che nel 1971 si riunisce con tre altri musicisti in una fattoria di famiglia presso Nishifunabashi (prefettura di Nagano): da queste lunghe e meticolose sessioni, e dopo la sostituzione del primo batterista, nasce alla fine uno degli album più affascinanti di quegli anni. Indubbiamente "Nihonjin" (vale a dire "giapponese"), pubblicato nel 1973 su etichetta Denon, riecheggia suggestioni della psichedelia inglese (Pink Floyd in testa), ma senza cadere nel ricalco pedissequo, trovando invece una vena originale che riflette il carattere rigoroso fino al perfezionismo del leader. Nel disco trovano posto soltanto due lunghi brani, caratterizzati da una formula piuttosto essenziale nella strumentazione e nel disegno sonoro, che amalgama toni acustici e sterzate elettriche. La splendida "Too Many People" parte in sordina, lentissima e quasi onirica tra spirali di vento, lasciando spazio al canto malinconico di Miyashita sulle note arpeggiate della sua chitarra acustica. Batteria e chitarra elettrica si aggiungono quindi al tema in una progressione di grande effetto, nella quale svetta la chitarra solista di Eiichi Sayu, ma anche il sitar virtuoso del bassista Kei Ishikawa: dopo una serie di variazioni incisive quanto esenti da forzature, subentra di nuovo il canto solista, stavolta però nel cuore d'un suggestivo crescendo. Il sitar apre il secondo brano, "Nihonjin", dall'incedere più ritmico e frastagliato. Sempre trasognato il canto di Miyashita, mentre la chitarra elettrica opera qui con maggiore libertà, tracciando ondivaghe linee blues di buona presa. Dopo l'ennesimo break del sitar, il pezzo si fa più mosso, e diventa una trascinante jam strumentale. Tra pause e riprese, orchestrate con sapienza sulle corde del sitar, il cantante infila una serie di vocalizzi in lingua madre creando un dialogo strettissimo e quasi mantrico con la chitarra di Sayu, fino all'accelerazione finale della batteria. Album che si segnala per la quasi totale assenza delle tastiere, a parte alcuni effetti di synth, "Nihonjin" resta un disco ancora oggi attraente per la sua ricetta di base: nessun eccesso strumentale, ma un calibrato utilizzo dei suoi elementi portanti, dalla voce peculiare di Miyashita al gioco incrociato di chitarra elettrica e sitar. L'atmosfera generale, onirica e trasognata, illustra a perfezione l'immaginario psichedelico, con richiami alle sonorità spaziali del krautrock, che dominava anche la ricca scena underground del Giappone. Sciolto il gruppo, Miyashita fonda poi la Far East Family Band, e dopo alcuni dischi da solista s'impegna generosamente nel campo della musicoterapia, prima della scomparsa nel 2003.

"Nihonjin"

  Festa Mobile   - Episodio minore ma non banale nella ricca stagione del prog italiano, l'unico disco di questa formazione è "Diario di viaggio della Festa Mobile", pubblicato nel 1973 dalla RCA. A guidare il quintetto, che prende corpo a Roma, sono i fratelli Francesco e Giovanni Boccuzzi (basso/tastiere e tastiere rispettivamente), originari della provincia di Bari: accanto a loro ci sono Alessio Alba (chitarra), Maurizio Cobianchi (batteria) e il cantante Renato Baldassarri. Il disco, secondo la diffusa tendenza dell'epoca, è il racconto in chiave concept di un viaggio allegorico e iniziatico in un remoto paese del tutto immaginario (Stellas), dove avverrà l'incoronazione del principe Xin Hon. Nei cinque momenti della sequenza c'è modo di apprezzare l'indubbia freschezza esecutiva della band, che accanto alle inevitabili ingenuità di ogni opera prima, dimostra le sue discrete qualità nel frizzante sviluppo dei temi musicali. In grande spolvero soprattutto il pianoforte, che guida quasi sempre le danze, come nell'attacco particolarmente brioso di "La corte di Hon": è un brano di trascinante tensione ritmica, arricchito a dovere dalla pungente chitarra elettrica di Alba che s'intreccia fecondamente con le tastiere, così come si ascolta nella successiva "Canto". In altri momenti del disco, ad esempio "Aristea", e poi anche "Ljalja", si aprono intervalli immaginifici e più ponderati, che lasciano spazio al canto solista tra i serrati spunti ritmici che caratterizzano il suono del quintetto. Proprio le parti liriche, nonostante la discreta voce di Baldassarri, sono peraltro il punto debole della proposta messa in campo dalla Festa Mobile: sembrano a volte non legarsi in modo organico al tessuto musicale, ben più vivace, e l'effetto complessivo alla fine ne risente. Si tratta insomma di un album molto ben suonato, con picchi strumentali davvero notevoli, che alla fine però soddisfa solo in parte. E' interessante notare come a tratti, la musica del gruppo pugliese mostri precisi indizi della futura evoluzione dei fratelli Boccuzzi, per l'accentuazione in senso ritmico e jazzato del pianoforte, sempre con l'adeguato supporto di basso e batteria: è pure il caso della traccia posta in coda, "Ritorno", che già preannuncia in qualche modo la loro nuova avventura sotto la sigla del Baricentro, solo di di tre anni posteriore. Diverse le ristampe in CD, ma anche in vinile (Edison, BMG e Sony).

"Diario di viaggio della Festa Mobile"

  Fields   - Una delle molte meteore del rock inglese dei Settanta, i Fields, da non confondere con gli americani omonimi, si formano a Londra nel 1971 come trio. Ne fanno parte il tastierista Graham Field, già fondatore dei Rare Bird e responsabile anche della nuova sigla, più il bassista e cantante Alan Barry e il batterista Andy McCulloch, fresco reduce dai King Crimson: il gruppo spunta un contratto con la CBS e lo stesso anno realizza il suo primo album omonimo (). Nelle dieci tracce, mai troppo lunghe, si avverte senz'altro l'influsso di altre formazioni triangolari, E.L.P. in testa, ma un po' come nei Rare Bird c'è una forte componente melodica che bilancia le trame dominanti dell'organo, grazie anche alla bella voce solista di Barry: lo si nota già nell'attacco brioso di "A Friend of Mine", non a caso uscito come singolo. In altri brani, il bassista si disimpegna pure tra chitarra elettrica e classica, come nella breve "Fair-Haired Lady", con un clarinetto di sfondo, ma non c'è dubbio che l'organo di Field sia l'asse portante della sequenza, anche se di rado il suono si fa prolisso o virtuosistico come in altre esperienze. Il tastierista mostra invece un apprezzabile senso della misura, confermando tecnica e buon gusto: in particolare in "Over And Over Again", dove il fraseggio organistico si combina fecondamente con il basso, in una serie di pieni e vuoti ben calibrati, sottolineati a dovere dal batterista McCulloch, prima del cantato efficace di Barry, e quindi nella sincopata "A Place To Lay My Head", dove la chitarra solista ha il giusto risalto, fino a "While The Sun Still Shines", tra i momenti migliori. Non mancano episodi più morbidi, quasi intimisti e costruiti sul pianoforte, come "Not So Good", mentre "Three Minstrels", aperta dalle percussioni, echeggia arie del folclore celtico nel refrain vocale, sebbene inserito nell'inedito impasto di organo e chitarra solista. Se "Feeling Free" è forse il brano melodico più risolto nella sua semplicità, l'epilogo di "The Eagle" tradisce ambizioni più sofisticate e composite: serrate combinazioni di chitarra e organo, con il mellotron di sfondo, danno corpo a un arazzo prog colorato e tecnicamente pregevole che poi si spegne dolcemente sul pianoforte. Quello dei Fields è insomma un disco solido e ben suonato, anche se forse manca il vero pezzo forte che renda memorabile l'insieme. Allo scioglimento, Andy McCulloch troverà miglior fortuna con i Greenslade. Solo nel 2015 è stato pubblicato infine "Contrasts: Urban Roar to Country Peace", un secondo album registrato nel 1972 e rimasto a lungo inedito. Varie le ristampe disponibili in CD.

"Fields"

"A Friend of Mine"

  Finch   - Una delle più note proposte in ambito prog giunte dai Paesi Bassi, quella dei Finch, formati a Den Haag nel 1974 con elementi reduci da gruppi quali Q65 e Livin' Blues, è una storia che si consuma in tre dischi di ottima fattura. L'esordio è "Glory Of the Inner Force" (1975), e mostra le notevoli credenziali di un quartetto che fa a meno delle parti cantate per concentrarsi su quattro lunghi brani di grande dinamismo, con spazi d'improvvisazione. Protagonista delle trame è il chitarrista Joop Van Nimwegen, che firma tutto il materiale e sembra dettare i tempi e le svolte ai compagni, già nell'apertura di "Register magister": eccellente il lavoro di una sezione ritmica indiavolata, col bassista Peter Vink in grande spolvero. Lo stesso vale per il resto del disco: bello l'attacco di "Pisces", che si snoda poi in un complesso rock venato di sfumature fusion, con il piano elettrico di Clem Determeijer in evidenza e una seconda parte più atmosferica, quasi classicheggiante dopo un repentino cambio di tempo. La chiusura della lunga "A bridge to Alice", con un inserto di chitarra classica, riassume la verve davvero esplosiva di un gruppo tecnicamente dotato e capace di variare all'infinito pochi temi dominanti. La formula viene replicata meno di un anno dopo con l'uscita di "Beyond Expression" (1976): tre soli pezzi stavolta, che permettono ai quattro strumentisti uno sviluppo ancora più esteso della propria vena. La suite "A passion condensed" offre ancora i tipici cambi di tempo, le coloriture timbriche di chitarra e tastiere, e le combinazioni forsennate che sono la cifra stilistica dei Finch. E' un suono composito, in bilico tra tentazioni hard-rock e parentesi classiche, senza dimenticare la capacità d'improvvisare tipicamente jazz, che rende la musica del gruppo così imprevedibile. Esemplare il caso di "Scars on the ego": le tastiere e il synth salgono in primo piano, subito soppiantate però da una chitarra molto heavy e un pianino a martello, nel brano più "americano" del disco. La band olandese, che forse meritava di più, si separa all'indomani di "Galleons of Passion", ultimo album pubblicato nel 1977. Ristampe in CD a cura di Pseudonym e Belle Antique.

"Glory Of the Inner Force"

  Finnforest   - Anche dai paesi scandinavi sono venute (e vengono tuttora) interessanti proposte musicali all'insegna del progressive. Tra queste anche i Finnforest, gruppo finlandese fondato a Kuopio dai due gemelli Pekka e Jussi Tegelman (chitarra e batteria rispettivamente), i quali, dopo un primo periodo di rodaggio come quintetto, e la pubblicazione di un singolo, si vedono ridotti a trio da un paio di defezioni. Finalmente, nel 1975, i due fratelli e il tastierista di formazione classica Jukka Rissanen realizzano l'album di debutto omonimo (), che rimane forse la loro prova migliore. Nelle otto tracce, tutte strumentali, la musica mostra una discreta personalità, ben divisa tra atmosfere crepuscolari e gustosi cambi di tempo. Interessante, ad esempio, il riff chitarristico che connota l'iniziale "Mikä Yö" (cioè "Che notte"), all'interno d'uno schema rarefatto dominato da organo e synth. I tre musicisti sembrano a loro agio dentro un sound tecnicamente pregevole, fatto di combinazioni ripetute e variate secondo una vena prossima al jazz. Il tutto, va sottolineato, calibrato con la tipica flemma dei musicisti scandinavi, senza forzature strumentali. In effetti, se non mancano episodi più grintosi e tirati, come l'ottimo "Happea", in puro spirito fusion e la chitarra in bella evidenza, la band finnica colpisce soprattutto in certi brani descrittivi e assorti, finemente dominati dalle tastiere di Rissanen, come "Koin Siipesi" e meglio ancora "Aallon Vaihto". Decisamente un buon album. Nel seguente, "Lähtö Matkalle" (1976), i fratelli Tegelman devono rinunciare a Rissanen (rilevato da Jukka Linkola), e chiamano al basso Jarmo Hiekkala. E' un disco più ambizioso, che pur seguitando nella medesima scia del precedente, offre una maggiore corposità strumentale, sia in chiave decisamente jazz come in "Alpha" (con belle linee di basso), o più ancora in "Elvin", dalla forza ritmica davvero accattivante, che in direzioni più complesse e versatili. E' il caso della suite in due parti che intitola l'album, realizzata tra l'altro con l'ausilio d'una vera sezione d'archi. L'incontro tra il jazz-rock dei quattro e gli archi sembra più sporadico nella prima parte, mentre la seconda è una composizione di grande respiro che cresce sul pianoforte e si ramifica in una delicata progressione veramente sinfonica, ribadendo a pieno organico uno stesso tema molto suggestivo. Dopo l'abbandono di Pekka, il fratello riforma la band per il terzo e ultimo disco che esce nel 1979: "Demonnights". La breve discografia dei Finnforest resta comunque tra le più originali della scena finlandese dei Settanta e merita una riscoperta. La ristampa Laser's Edge 1996 abbina i due primi album in un singolo CD.

"Finnforest"

  Fire   - Band minore dell'undeground inglese, i Fire sono originari di Hounslow, un sobborgo di Londra, dove si mettono insieme nel 1966. Capitanato dal cantante e chitarrista Dave Lambert, il trio realizza un paio di singoli per la Decca quali "Father's Name Is Dad"/"Treacle Toffee World", e quindi "Round The Gum Tree"/"Toothie Ruthie", entrambi nel 1968: lo stile è un vivace rock psichedelico con le chitarre in primo piano. Solo nel 1970 è finalmente pubblicato l'album "The Magic Shoemaker", stavolta su etichetta Pye: si tratta di un fantasioso concept-album sulla storia di un ciabattino in grado di fabbricare scarpe magiche che permettono di volare. Il filo rosso tra le undici tracce della sequenza è la voce di Lambert che si rivolge a un gruppo di bambini per raccontare la sua favola, ed è la parte onestamente più noiosa. Musicalmente si tratta invece di un concentrato di rock chitarristico, con tastiere più defilate, che ha buoni momenti ma per molti versi rimanda agli anni Sessanta, con echi sparsi degli Who ad esempio. "Magic Shoes", aperta dal piano, è una discreta pop-song quasi in stile-Beatles, con chitarra e il basso di Dick Dufall sempre in primo piano, mentre "Shoemaker" è una lenta ballata ancora costruita sul pianoforte, la voce accorata tra piccole accelerazioni e riprese del tema, in uno schema non troppo esaltante. Va meglio con gli episodi che portano al proscenio la chitarra solista senza troppi fronzoli: ad esempio "I Can See the Sky", con le sincopi della batteria di Bob Voice in buona evidenza e l'armonica a bocca, e ancora "Flies Like a Bird", col riff chitarristico tumultuoso e mordenti parti vocali. Un discreto punto d'incontro tra le due anime è rappresentato da "Reason For Everything", dalle cadenze quasi classicheggianti sul pianoforte e un po' d'organo, con misurati interventi della chitarra elettrica e una voce solista più adeguata. Alcuni brani, come "Only A Dream", soffrono evidentemente di una produzione poco attenta a sviluppare le idee di base. Nella breve "Happy Man Am I" compare al banjo Dave Cousins, mentre Paul Brett funge da prima chitarra nei brani dove Lambert è impegnato tra pianoforte e chitarra ritmica. Non per caso, quando il gruppo si disperde per lo scarso risultato commerciale, Voice, Brett e Dufall suonano insieme nella Paul Brett's Sage, mentre Lambert troverà fortuna proprio con gli Strawbs di Dave Cousins nel periodo 1972-'78 e dopo una pausa ancora oggi, oltre a pubblicare un paio di album da solista. Nel 2008 è uscito anche "The Magic Shoemaker Live", che documenta un'effimera riunione del trio. Ristampe in CD e in vinile (See for Miles e Tapestry).

"The Magic Shoemaker"

  G. F. Fitz-Gerald   - Questo chitarrista scozzese (Gerald Frazer Fitzgerald all'anagrafe) nasce a Edimburgo, e dopo qualche esperienza in formazioni locali dedite essenzialmente al R&B si trasferisce a Londra intorno al 1965. Suona a lungo nei nightclubs, poi si avvicina alla musica concreta ed elettronica, maturando quindi il progetto-Mouseproof nel 1967: la buffa sigla ("a prova di topo") nasce da un criptico biglietto trovato dentro un vecchio e malandato armonium. Ottenuto infine un contratto con la Uni Records (label della MCA), Fitz-Gerald registra il suo unico album nell'estate del 1970: "Mouseproof" (), suonato da uno stuolo di validi musicisti nei suoi dieci brani, è un mosaico quasi inclassificabile. Il suo fascino risiede proprio nella capacità di rifuggire ogni formula in voga, mescolando nel modo più originale psichedelia, folk-rock, un pizzico di jazz ed elettronica. Bella l'apertura di "April Affair", un tema cantato a più voci dal ritmo accattivante, con il flauto di Geoff Leigh in evidenza tra le chitarre battenti protagoniste: in una sequenza di episodi spesso brevissimi, è uno dei momenti più corposi. "May Four" ricorda con accenti dolenti i quattro studenti uccisi dalla guardia nazionale americana a Kent in Ohio (da cui il famoso brano di Neil Young), mentre la passione del leader per il country viene fuori in "Country Mouse". I picchi del disco però sono altri, a cominciare da "Ashes Of An Empire/The End": il clima esotico, accentuato dalle tabla di Sam Gopal, è spezzato poi da stranianti inserti vocali s'una base di mellotron nei quali si segnala la nota cantante folk Judy Dyble (ex-Fairport Convention e Trader Horne), tra il basso furioso di Rick Kenton e belle spirali di flauto nel vivace impasto, chiuso dal moog in un clima sinistro. Un certo jazz sperimentale domina invece "Under And Over the Waterfall", con il sax protagonista dell'attacco serrato con basso e batteria, tra suoni elettronici davvero fascinosi. Fitz-Gerald, che nel disco suona anche piano, percussioni e moog, oltre a cantare suona la chitarra elettrica in maniera assolutamente personale e mai banale, ad esempio in "A Movement Lost In Twilight Stone", che vive di suoni distorti ad effetto. Se la brillante "Political Machine" segue un ritmo saltellante tra voci corali e accelerate sul tema del sax, l'altro pezzo forte è l'epilogo della lunga "Opal Pyramid Drifting Over Time": gran lavoro della batteria, echi ossessivi e distorsioni oltre a note evocative di chitarra che galleggiano sul silenzio e un coro spiazzante, con il sax di Leigh e la sezione ritmica che guidano al finale. È senz'altro, ancora oggi, uno degli album più singolari dell'underground britannico: mal promosso e distribuito, affonda però nell'incomprensione. Fitz-Gerald capì molto presto che fare dischi non gli piaceva tanto come suonare dal vivo e infatti ha continuato a farlo con passione. Solo più avanti, tra il 2007 e il 2011, ha comunque realizzato due album con il fiatista Lol Coxhill. Ristampa in CD di Sunbeam Records.

"Mouseproof"

"Ashes Of An Empire/The End"

  Flairck   - Olandesi di Ulvenhout-Breda (Nord Brabante), dove nascono nel 1978, i Flairck vantano una discografia corposa, inizialmente collegata al folk progressivo. La sigla è una sintesi tra il termine inglese flair (stile, eleganza) e l'olandese vlerk (ala), e allude al virtuosismo del musicista. Il primo album del gruppo è "Variaties Op Een Dame", cioè "variazioni su una signora", pubblicato nel 1978 dalla Polydor: insieme al leader Erik Visser (chitarre) suonano il fratello Hans (chitarre e basso), oltre alla violinista Judy Schomper e al flautista virtuoso Peter Weekers. Sei tracce puramente strumentali nelle quali il quartetto suona un ispirato folk da camera elegante, con qualche sapore esotico (il sitar di "April 3rd") e senza concessioni al rock: mancano le percussioni, ad esempio. Le chitarre trionfano nell'incipit di "Aoife", cullata dal flauto e dal violino, che domina pure "Oneven wals", assecondato dalla chitarra e dal basso, con vivaci richiami a danze campestri. "Voorspel in Sofia" ha un andamento mosso, con basso acustico di Hans Visser in apertura e una serie di pause e riprese trascinanti sul flauto di Pan e il violino, in un pezzo fitto di echi andini e balcanici. La lunghissima title-track riunisce i singoli elementi e le qualità del gruppo: languidi passaggi di violino e flauto in piena dimensione cameristica, con la chitarra in appoggio, convivono con un poliedrico folk multietnico, tra passaggi tumultuosi di grande effetto. Un esordio coi fiocchi, ma il successivo "Gevecht Met De Engel" (), vale a dire "battaglia con l'angelo", uscito nel 1980, è probabilmente l'apice dei Flairck. Con la nuova violinista Sylvia Houtzager il gruppo stupisce ancora miscelando arie etniche e suoni da camera: brioso l'attacco di "Oost-west express", col flauto di Pan grande protagonista, ma addirittura stupenda è "De Vlinder" (cioè "la farfalla"), basata s'una melodia irlandese e articolata mirabilmente tra gli archi, un flauto magico e la spinetta, con breaks di chitarra e inserti di sitar, cornamusa e arpa che conferiscono risonanze inedite all'insieme. Tra un tema più sognante e improvvise fughe sul flauto scorre pure "De Stoomwals", altro episodio notevole, come il fine dialogo per due chitarre di "Voor Antoinette", ma anche qui l'arte vera del gruppo è depositata nella lunga traccia del titolo, divisa in tre parti: arpeggi sognanti di chitarra e un flauto incantato, tra repentini stacchi spagnoleggianti e un violino ancora imprevedibile, fino a malinconiche atmosfere cameristiche di eccelsa fattura, compongono alla fine un magnifico arazzo sonoro. Dopo "Live in Amsterdam" (1980), la band realizza quindi "Circus" l'anno seguente: senza Weekers e con gli innesti di Annet Visser (sorella di Erik e Hans) e il percussionista Ted de Jong, la sequenza è improntata a una world music più pronunciata. Tra i quattro episodi c'è spazio anche per il country più tipico ("De overtocht") e momenti circensi nelle quattro parti della suite del titolo, con percussioni, basso e anche fisarmonica in evidenza. E' musica suonata benissimo da grandi strumentisti, ma forse mancano i picchi espressivi dei precedenti: molto bello comunque l'epilogo di "Es Vijf", col flauto di Annet in grande spolvero. In seguito, il gruppo firma un album con Georges Moustaki ("Moustaki & Flairck", 1982) e altri dischi pregevoli. Tutte le informazioni nel sito ufficiale. Ristampe di Polydor.

"Gevecht Met De Engel"

"De vlinder"

  Flamen Dialis   - Questo progetto sonoro dal nome latino (il Flamen Dialis era il sacerdote preposto al culto di Giove nell'antica Roma) è promosso dal tastierista e batterista francese Didier Le Gallic, che in precedenza aveva militato nella Yecta Plus Band, formazione con un 45 all'attivo (1971). Più avanti, Le Gallic vira però verso una sorta di Avant-Prog che attinge all'elettronica, mettendo insieme il nuovo gruppo intorno al 1976. Con il leader ancora impegnato alla chitarra e alle percussioni, il quartetto realizza nel 1978 un 45 giri, "Decouverte"/"Autre Chose", nel quale è già evidente l'indirizzo stilistico: una mistura acerba ma interessante di sinth e mellotron, oltre alla chitarra, che richiama da vicino i corrieri cosmici tedeschi. L'anno seguente la band include altri elementi, come il fiatista A. Ernouf e il chitarrista M. Le Saout, mentre Le Gallic si sposta alle tastiere. Con questo rinnovato organico viene inciso l'album "Symptome - Dei" (), pubblicato nel 1979. Undici tracce dove il dosaggio ancora scolastico del primo singolo si fa stile, e pur nell'ambito di un suono aperto e sperimentale, si concretizza in una sequenza dai tratti onirici e a volte sinistri, decisamente affascinante. Efficace sintesi del suono-Flamen Dialis è l'attacco di "Dernière Croisade", un crescendo d'intensità imperniato su vibrafono, chitarra acustica e synth, che assume lentamente connotati più ossessivi grazie al mellotron e alle percussioni, il basso e la chitarra elettrica di Le Saout, con un effetto vagamente apocalittico. Anche se non mancano isole sonore più trasognate, come la suggestiva "Dédale Vert Du Retour", il disco è dominato da una trama piuttosto coerente di temi ricorrenti, all'insegna di un'atmosfera tesa e drammatica, a volte irta di spigolosità e dissonanze, che trasmette inquietudine. "Le Sanctuaire D'argile", ad esempio, è scandito da un coro salmodiante accompagnato da chitarra acustica e percussioni, ma gli episodi più incisivi sono "Illusion", con il tema consueto di synth e mellotron che si amplifica grazie ai fiati in una deriva che lascia il segno, e quindi "Eclosion", con il mellotron sempre in primo piano, e la punteggiatura di flauto e vibrafono. Il vibrafono caratterizza anche la rarefatta "Arc En Lumière", mentre il flauto torna protagonista con il mellotron nella splendida "Renaissance", brano sognante e misterioso al tempo stesso, esattamente come l'intera sequenza. L'album è davvero un piccolo gioiello della scena transalpina, anche se spesso dimenticato. Meritoria ristampa in CD dell'israeliana Mio Records, con il bonus dei due brani usciti come singolo. Infine, nel 2012 è stato pubblicato a nome Flamen Dialis un disco come "Transformation", nel quale Didier Le Gallic suona da solo tutti gli strumenti.

"Symptome - Dei"

  Flamengo   - Originari di Praga, i Flamengo si formano nel 1966 come gruppo Beat e tra il 1967 e il 1971 realizzano ben nove singoli che li fanno conoscere in patria. L'album "Kure V Hodinkách" (cioè "il pollo nell'orologio") viene pubblicato nel 1972 e offre nove tracce di eclettico prog dalle inclinazioni jazz, ma anche molto melodico, con i fiati di Jan Kubík e la voce di Vladimír Misík protagonisti, mentre quasi tutti i testi sono firmati dal poeta e drammaturgo ceco Josef Kainar. Il suono del sestetto boemo è corposo, sempre vivace, anche se accanto ai brani più frizzanti, con una sezione ritmica di grande livello, non mancano episodi più morbidi, lontani dalle compiaciute oscurita del prog allora in voga. Tra i momenti più emblematici del loro stile si può citare "Rám příštích obrazů", segnato dal sax esuberante e dalla voce solista, con la chitarra elettrica di Pavel Fořt di spalla, come pure la trascinante "Jenom láska ví kam". Se "Doky, vlaky, hlad a boty" è una robusta rock-song scandita sempre dalle bordate virtuose del sax e dall'energica voce solista, qui aiutata dal coro, con la chitarra pungente che si segnala ancora insieme al basso, nella bella "Chvíle chvil" sale al proscenio anche l'organo. La musica dei Flamengo scorre comunque dinamica e accattivante, mostrando una cifra tecnica decisamente notevole. "Stále dál", cantata stavolta dal tastierista Ivan Khunt, è una sorta di hard rock dai risvolti folk grazie alla chitarra solista e al flauto di Kubík, ma la sequenza regala anche momenti più raccolti, dove fa capolino una vena più pensosa: l'esempio migliore è "Já a dým" (cioè "io e il fumo"), un pezzo di grande atmosfera cullato dal flauto e cantato a dovere da Misík sull'arpeggio di chitarra acustica, con morbidi intrecci che rimandano vagamente ai Jethro Tull. Altro pezzo forte della sequenza è sicuramente "Pár století" ("un paio di secoli"), composizione eclettica e sorprendente, tra spazi di vibrafono e ficcanti inserti di un flauto magico abbinati qui a cadenze quasi sinfoniche, con il sax e le tastiere protagonisti nel finale: molto bello. Raffinato anche il binomio di flauto e basso (Vladimir Guma Kulhánek) che apre la seconda parte della title-track, poi sviluppata sul canto solista ben supportato dal coro in un clima saturo e pastoso, sorretto da una sezione ritmica mordente, dalla chitarra e dalle staffilate del sax: è il degno epilogo di un disco davvero godibile, che rimane purtroppo senza seguito. Il nome dei Flamengo rientra nell'ombra, anche se i suoi componenti restano attivi nella ricca scena musicale dell'ex Cecoslovacchia. Ristampa in CD di Bonton, che include i due pezzi del 45 giri pubblicato nel 1971, e in vinile (Supraphon).

"Kure V Hodinkách"

"Pár století"

  Flash   - Formati nel 1971 a Londra dal chitarrista Peter Banks subito dopo aver lasciato gli Yes, i Flash realizzano tre album nel giro di un paio d'anni. Banks è affiancato tra gli altri dal valido cantante Colin Carter e dall'ospite Tony Kaye, tastierista anch'egli reduce dagli Yes, nel brillante esordio di "Flash" (), pubblicato nel 1972. E' un prog eclettico, a cominciare dall'attacco di "Small Beginnings": la chitarra pirotecnica di Banks sfoggia riff estemporanei insieme al basso creativo di Ray Bennett, e alla batteria di Mike Hough, tra voci corali e lo sfondo dell'organo. Il quintetto ingloba con disinvoltura melodie pop, rock e un pizzico di folk acustico ("Morning Haze"), ma il meglio sta nei brani estesi. "Dreams of Heaven" è quasi una minisuite: brevi interludi e trascinanti ritmi sincopati, tra voci corali e pregevoli spunti di basso e chitarra che ricordano lo stile-Yes degli esordi, con un tocco accattivante di jazz. "Children of the Universe" scorre sui tasti dell'organo e della ritmica, con la voce solista protagonista e la chitarra di Banks in grande spolvero, mentre l'epilogo è la morbida ballata "The Time it Takes", di suadente atmosfera. Ottimo esordio premiato da vendite eccellenti, ma il seguente "In the Can" (ancora '72) non è affatto inferiore: senza le tastiere di Kaye, e parti di synth curate dallo stesso Banks, il gruppo inglese conferma in pieno le sue qualità. Bello il dinamico rock dell'iniziale "Lifetime", con il canto multiforme di Carter e spunti solistici ad effetto, dal basso mai banale di Bennett alla chitarra solista. Davvero magnifica è la lunga "Black and White", scandita con classe cristallina dalla sezione ritmica e una chitarra frizzante che guida splendide escursioni jazz e sterzate sanguigne, mentre la voce di Carter è al suo meglio: è il picco del disco, con trovate strumentali e virtuosismi di grande valore. La brevissima "Stop the Banging" è solo uno scherzo, ma "Monday Morning Eyes" scolpisce con indubbia eleganza il tema melodico in uno schema sempre denso di sorprese, e nella frastagliata chiusura di "There No More" le trovate dei singoli, i cori ad effetto e una tavolozza sonora tra rock e jazz convivono alla grande, a riprova ulteriore del talento di questo gruppo spesso sottovalutato. La parabola dei Flash si chiude comunque col terzo album "Out of Our Hands" (1973), accreditato per motivi legali a Flash-featuring England's Peter Banks. Nove tracce più brevi, con Bennett che suona anche le tastiere, e una generale tendenza a un raffinato pop melodico tutt'altro che banale. La qualità resta altissima, con basso e chitarra ancora protagonisti: soprattutto in "Psychosync" e poi nella bella progressione di "Manhattan Morning", innervata di preziosismi strumentali. Carter interpreta da par suo canzoni come "None the Wiser", e poi "Man of Honour", segnata da buone parti di chitarra acustica, mentre in "The Bishop" è ancora il basso di Bennett a dettare la linea. La band si sfalda però durante l'ennesimo tour americano, mentre Banks pubblica il primo disco da solista. Più avanti escono live d'archivio come "Psychosync" e "In Public", quindi Carter e Bennett riuniscono la band per pubblicare "Flash" nel 2013, quando scompare anche Peter Banks. Altre notizie nel sito ufficiale.

"In the Can"

  Flashmen   - Una formazione originaria di Cremona, dove nasce nel 1967, che rappresenta bene la transizione tra la fase Beat e il Progressive. Dopo un primo 45 giri uscito nel 1969 ("Il mondo aspetta te"/"La donna che ho"), i Flashmen si accasano con la Kansas, label che produce artisti come i Camaleonti e più tardi anche E.A. Poe e Capricorn College. Il primo album del gruppo è "Cercando la vita" (1970), che in otto brani non certo travolgenti rimarca uno stile post-beat melodico sicuramente lontano dai fermenti rock più moderni che attraversano l'Italia del tempo. Sono canzoni brevi, con liriche di sapore sentimentale secondo un modello molto basico: l'iniziale "Una parola" o anche "E' tardi ormai" sono tipici esempi di questo pop leggero che lascia poco spazio alla parte strumentale. Solo la lunga title-track arricchisce lo schema con la chitarra ruggente di Luciano Spotti e un organo più caldo, insieme alla ritmica mordente e una voce finalmente più grintosa, così come la finale "Chiamalo forte" si segnala per un lungo assolo di batteria e qualche riff di chitarra, ma la sequenza suona molto "sixties". L'anno seguente il disco viene ripubblicato col nuovo titolo "Hydra" e l'aggiunta di due tracce come "Un anno nero" e "Puoi dirmi t'amo". Decisamente migliore, al confronto, è il successivo "Pensando" (1972), dove il quartetto appare cresciuto e meglio intonato alla stagione del prog. Si tratta sempre di canzoni, ma la voce solista che ricorre spesso al falsetto è più incisiva, così come il pathos dei musicisti sa catturare l'attenzione. Lo dimostra "Ma per colpa di chi?", un rock-blues contro la guerra cantato a dovere da Silver Scivoli nel corposo intreccio di organo e chitarra, con la batteria rutilante di Roberto Caroli in evidenza. "Maria" si articola sulle cupe tonalità dell'organo in pieno clima dark, tra pause e riprese ben congegnate intorno al canto solista, e in generale l'organo comanda sempre le operazioni: è il caso della briosa "Un pugno di mosche", uscita come singolo. Curiosa "Amo mia madre", s'un ritmo di bossa nova coniugato a intriganti spezie rock, mentre "Nella tua mente" satireggia la cattiva politica con un testo parlato e il coro in crescendo. Organo e batteria sono ancora protagonisti della tumultuosa "Qualcosa per sognare", fino all'epilogo strumentale di "Sortita", tra fughe d'organo e riff chitarristici in serie. Certo nel 1972 il prog italiano maggiore esprimeva contenuti più complessi, ma il disco dei Flashmen, che partecipano quell'anno al primo "Davoli Pop" di Reggio Emilia, è comunque accattivante. Il successivo "Flashmen" (1973) torna invece pacato e melodico, anche se offre un paio di curiose cover, da "Virginia Plain" dei Roxy Music a "Fai come credi" da Capaldi ("Don't Be A Hero") accanto a semplici canzoni pop-rock ("E' la vita" o anche "Non sento le tue mani"), a volte col flauto in evidenza ("Il mio posto è con te"). "Sempre e solo lei" e quindi "I Flashmen", entrambi usciti nel 1974, sono gli ultimi due album del gruppo, che si scioglie qualche tempo dopo il 45 giri "Piccolo amore"/"La stagione dei fiori" (1975). Ristampe cd di Mellow Records, Vinyl Magic e della giapponese Edison.

"Pensando"

  Flea On The Honey / Flea   - Formazione di origine siciliana, i Flea On The Honey si spostano a Roma agli albori del decennio e fanno così in tempo a partecipare ai primi Festival Pop dell'epoca, come quello di Viareggio del 1971. Proprio lo stesso anno il giovane quartetto (chitarra, basso, tastiere/flauto, batteria) fa quindi il suo esordio con un disco omonimo pubblicato dall'etichetta Delta, e riuscito purtroppo solo a metà. Con look di tendenza e nomi camuffati, i quattro propongono un rock piuttosto incolore con liriche in lingua inglese, che passa fatalmente inosservato nell' affollata scena del tempo. Più che altro manca nelle dieci tracce una direzione stilistica precisa e consapevole: si oscilla infatti tra un pop melodico ancora molto sixties ("Don't you Ever Feel Glad" ad esempio), qualche timido spunto di hard rock ("Happy Killer") e sporadiche tentazioni blues ("Face to the Sun"), con le chitarre comunque in primo piano e tastiere solo di sfondo. Accorciata quindi la sigla il gruppo, dopo altre esibizioni ai raduni pop più rinomati, in particolare il primo Festival di Villa Pamphili a Roma, ci riprova con "Topi o uomini" (1972), stavolta inciso per la Fonit. In questo caso però la musica ha assunto connotati più aggressivi di stampo hard rock, come si nota nella lunga title-track, dominata in lungo e largo dalla vibrante chitarra elettrica di Carlo Pennisi, e con le tastiere di Antonio Marangolo ancora in secondo piano. Più sciolta e dinamica nel suo sviluppo, con le voci spesso corali, la traccia dimostra senza dubbio le buone qualità tecniche del quartetto, anche se l'insieme soffre di una certa frammentarietà di fondo. Tra i tre restanti episodi che occupano la seconda parte, stavolta cantati in italiano, spicca soprattutto l'intrigante atmosfera di "Sono un pesce", un episodio ben articolato sulla chitarra acustica e il vibrafono, con il canto trasognato e l'efficace apporto di armonica e poi del sax soprano suonato dal bassista Elio Volpini, che aggiungono una nota più sperimentale all'insieme. Si tratta di un album sicuramente più sintonizzato sulle nuove sonorità, con qualche momento senz'altro interessante, ma poco organico, che non risolleva comunque le sorti del gruppo siciliano. La stessa formazione ci riproverà tre anni più tardi con la nuova sigla Etna. Varie le ristampe in circolazione, anche in vinile.

"Topi o uomini"

  Flied Egg   - Un gruppo nipponico troppo disuguale per lasciare veramente il segno. Shigeru Narumo (tastiere, chitarra) e Hiro Tsunoda (batteria e voce) suonano prima negli Strawberry Path, autori dell'album "When the Raven Has Come to the Earth" (1971): è un hard rock-blues suonato con discreta verve, ma infarcito di pedissequi richiami ai maestri inglesi del genere, con un occhio a Jimi Hendrix. Si passa dai lunghi riff chitarristici di "Woman Called Yellow Z" o "Five More Pennies" a lente ballate piuttosto stucchevoli ("Mary Jane on my Mind"), fino a una pallida imitazione dei primi Procol Harum, in "The Fate". L'anno seguente, Narumo e Tsunoda formano i Fliedd Egg con l'aggiunta del bassista Masayoshi Takanaka, e realizzano un disco come "Dr. Siegel's Fried Egg Shooting Machine" (1972): titolo e copertina sembrano annunciare uno spostamento verso la psichedelia e il prog, invece rimane costante l'estrema varietà dei modelli stilistici, senza una precisa scelta di campo. Il fantasma di Frank Zappa domina l'attacco della brillante title-track, tra voci corali e sanguigni umori rock, con la chitarra di Narumo protagonista. "Plastic Fantasy" porta in primo piano l'organo all'interno di una sorta di ballata atmosferica non troppo originale, quasi sixties, mentre altrove si riaffaccia un certo hard rock di buon effetto, condito da buffi coretti ("I'm Gonna See My Baby Tonight") oppure basato su pesanti riff chitarristici ("Rolling Down the Broadway"). Lasciano perplessi un paio di ballate come "I Love You", con tanto di arrangiamento orchestrale, ma per fortuna c'è anche un episodio strumentale come "Oke-kus", dominato da organo, piano e synth, che risolleva in parte le sorti dell'album: frizzante e ritmicamente sostenuto, il pezzo svela un aspetto interessante ma poco battuto dalla band giapponese. Non privo di buoni momenti, il disco è fin troppo altalenante. Lo stesso vale per il seguente "Good Bye" (ancora del '72). Il trio è di nuovo alle prese con blues e hard rock di maniera, riproponendo nuove versioni di tracce già incise. Ad esempio "Leave Me Woman" e "Rolling Down the Broadway", suonate qui dal vivo come altri due pezzi. Tra i pezzi di studio, la breve "Out to the Sea" è una composizione guidata dall'organo, modeste parti vocali e morbido riff chitarristico alla Fripp, mentre nella lunga coda di "521 Seconds Schizophrenic Symphony", viene fuori l'anima prog del gruppo: una galoppata strumentale per organo e piano d'impostazione classico-sinfonica, con cambi di tempo e ficcanti parti di chitarra nel mezzo. Discreto, ma è solo una parentesi nella mediocrità generale. Il bassista Takanaka prima trova fortuna nella Sadistic Mika Band insieme a Tsunoda, e poi realizza diversi dischi da solista. Shigeru Narumo, attivo soprattutto dal vivo, scompare invece nel 2007. Ristampe a cura di Phoenix e Bamboo.

"Dr. Siegel's Fried Egg Shooting Machine"

  Formula 3   - Alla fine degli anni Sessanta, in una fase di passaggio delicata della musica italiana, i Formula 3 (Alberto Radius, Gabriele Lorenzi, Tony Cicco) si affermano con alcuni singoli firmati Mogol-Battisti ("Questo folle sentimento") e incidono nel 1970 l'album "Dies Irae". La musica è un vivace rock melodico, dove la title-track, un tenebroso hard-rock già inciso dai Samurai, spicca in un contesto che risente del nume Battisti, che li produce, come avviene anche nei successivi album. "Formula 3"(1971) rimane forse il più legato a un brillante pop-rock grintoso e senza troppe complicazioni, con le voci di Cicco e la chitarra di Radius che si alternano in titoli comunque di forte impatto: nella sequenza spiccano "Tu sei bianca, sei rosa, mi perderò", "Eppur mi son scordato di te", "Vendo casa" e "Il vento". Il disco che segue, "Sognando e risognando"(1972), mostra una decisa evoluzione verso un rock più complesso, svincolato dalla forma-canzone: si va dalla splendida versione della title-track battistiana, trasformata in una mini-suite di grande effetto, ai larghi e convincenti spazi strumentali di "L'ultima foglia" ed "Aeternum". La band seguita a riscuotere successi di pubblico (con "La folle corsa" anche a Sanremo), e buoni consensi nei vari festival dell'epoca. Nel frattempo va ricordata la prima prova solista di Radius: il suo disco omonimo(), uscito nel 1972, somiglia a una brillante jam-session nostrana, e oltre che davvero notevole nei risultati, si pone come una sorta di memorabile spartiacque della prima fase del prog italiano. Stratos, Capiozzo e Dijvas suonano infatti nel brano "Area", pochi mesi prima dell'esordio discografico della band omonima (vedi). Dopo questa ottima parentesi individuale, il chitarrista e gli altri Formula 3 incidono l'ultimo disco prima dello scioglimento. "La grande casa" (1973) contiene testi del solo Mogol (anche in veste di produttore) e per il resto si sviluppa sotto il segno di Alberto Radius e della sua chitarra, in pezzi ben costruiti come "Rapsodia di Radius", "Cara Giovanna" e "Libertà per quest'uomo". Non mancano brani più bizzarri e divertenti, come "La ciliegia non è di plastica". Dopo una lunga parentesi, negli anni Novanta i tre si ritrovano per incidere dischi quali "King Kong"(1991) e "Frammenti rosa"(1992).

"Sognando e risognando"

  Frame   - Originari di Marburg, i Frame consegnano agli annali del rock tedesco un solo album. Realizzato nel 1972 sulla nota etichetta Bacillus, "Frame of Mind" () è un discreto manifesto di prog variegato, tra psichedelia e hard rock, inciso da un quintetto di buona caratura. Nelle otto tracce della sequenza spicca il timbro inconfondibile dell'organo Hammond di Cherry Hochdörffer, di buon effetto già nell'attacco melodico della title-track insieme al canto trasognato di Dieter Becker, come pure nella seguente "Crucial Scene", sviluppato proprio sui vivaci spunti dell'organo, ma anche costellato dal pirotecnico chitarrismo di Andy Kirnberger. Il gruppo mostra una certa versatilità, così da proporre anche intriganti hard prog vicini ai maestri inglesi del genere: ad esempio "If", con l'ottima performance vocale e fughe d'organo trascinanti, con il supporto della ruggente chitarra solista. E' uno dei picchi espressivi del disco, ma anche la più lunga "All I Really Want Explain" dimostra vitalità e grinta: stavolta il pezzo inizia sulla chitarra acustica, per evolvere poi in un corposo intreccio, ricco di cambi di tempo e riprese, dove il fraseggio articolato dell'organo (con un piano più defilato) e i riff chitarristici si dividono ancora la scena, oltre al "vibrato" enfatico del vocalist. Becker sfodera un piglio ancora più acido in un esplicito hard rock come "Penny For an Old Guy", pure inframmezzato da curiosi inserti corali prima di riprendere quota fino al torrido finale sulle note della chitarra. Al contrario, "Winter" è una ballata che echeggia paesaggi folk più malinconici, anche se il tema vocale è sempre appoggiato, e quasi sovrastato, dall'organo e dalla chitarra elettrica: è un momento interessante, sia pure differente dal resto dell'album, come la breve "Childrens Freedom", con la chitarra acustica sotto la voce e la consueta presenza dell'organo che guida il pezzo fino al termine. Chiuso da una brevissima e buffa citazione dell'inno nazionale tedesco, "Frame of Mind" non è un capolavoro, ma nel complesso i momenti di valore hanno sicuramente la meglio su qualche incertezza disseminata qua e là, e rimane un ascolto raccomandato agli amanti del cosiddetto Krautrock. Dissolta la band, Hochdörffer suonerà più avanti nei Pell Mell. Ristampe digitali di CPM Records.

"Frame of Mind"

  Frob   - Questa dimenticata formazione tedesca vede la luce alla fine del 1973 nella cittadina di Rheda-Wiedenbrück (Renania Settentrionale), su iniziativa del tastierista Peter Schmits e del batterista Klaus Voss. Poco dopo, a quest'ultimo subentra Peter Meuffels, mentre il francese Philippe Caillat, l'unico con un background professionale, ricopre il ruolo di chitarrista, così come Klaus-Dieter Richter quello di bassista. Il nuovo quartetto registra quindi il suo primo album proprio a Montpellier, città d'origine del chitarrista, tra la fine del 1975 e l'inizio dell'anno successivo: il disco viene pubblicato solo nell'estate del 1976 in circa mille esemplari, e nonostante una distribuzione limitata ottiene discreti consensi dalla stampa locale. In effetti, le otto tracce che compongono "Frob" () mostrano ancora oggi una verve notevole e buona caratura tecnica: rinunciando alle parti vocali, il gruppo tedesco suona un jazz-rock gustoso, condito da spezie decisamente prog. Le tastiere di Schmits, che si divide tra organo e piano, sanno creare una base adeguata ai soli chitarristici e mai banali di Caillat, ma è pure da sottolineare il contributo del basso e della rutilante batteria di Meuffels nella definizione di un suono pieno e dinamico quanto basta a tenere vivo l'interesse, senza cali di tono. L'atto iniziale di "Wassentropfen" (cioè "goccia d'acqua") è una girandola di cambi di tempo perfettamente congegnata sulla briosa sezione ritmica, il piano elettrico e la chitarra solista di Caillat, con aperture dell'organo che danno un tocco atmosferico al pezzo. "Calypso" si apre invece sull'organo in un clima di tensione che prelude a una serie di sterzate ritmiche di grande effetto e prosegue tra pieni e vuoti, rilanciata continuamente dal basso propulsivo di Richter. Il bassista è ancora protagonista nel tema ossessivo di "Flash", con organo e chitarra che s'incrociano a meraviglia, mentre il gruppo appare davvero indiavolato in "Hektik", sotto la spinta del tastierista e di Caillat che si prende il suo spazio con soli piuttosto acidi e creativi. I brani sono in genere dominati da una ritmica serrata (ad esempio "Spaces", costruito sulla batteria), ma non mancano parentesi più atmosferiche: è il caso della bella "Spheres", sviluppata ad arte sull'organo inventivo di Schmits con un lavoro più dosato della chitarra solista, e poi dell'epilogo di "La sieste", episodio di classe che scivola agilmente su piano, organo e chitarra elettrica senza forzare i toni. Un bel disco, purtroppo senza seguito: per dissidi interni, infatti, Meuffels e Richter se ne vanno nel 1977 e il cambio di organico successivo non evita lo scioglimento di lì a poco. Il più attivo tra i membri resta Caillat, che realizza diversi dischi jazz negli anni seguenti, collaborando anche con Charlie Mariano. Ristampe a cura di Garden of Delights (CD) e Replica (vinile).

"Frob"

"Wassertropfen"

  Fruupp   - Band originaria dell'Irlanda del Nord, fondata a Belfast nel 1971 dal chitarrista Vince McCusker, i Fruupp incidono nel corso dei Settanta quattro dischi piuttosto interessanti. L'esordio è del 1973 con "Future Legends" (), nel quale il quartetto (basso/voce, tastiere/oboe, chitarra, batteria) s'inserisce senz'altro nel filone del rock romantico e sinfonico, ma con alcune peculiarità da rimarcare. Non è casuale l'utilizzo di una sezione d'archi nel breve atto introduttivo che intitola il disco, e l'utilizzo dell'oboe in "Graveyard Epistle", suonato dal tastierista Stephen Houston, che definiscono un'ispirazione colta ed elegante. Tuttavia l'album offre anche momenti più robusti e dominati dalla chitarra solista di McCusker: come in "Decision", che alterna spunti ritmici più intensi a raffinate parti di piano, e la più sfaccettata "Lord of Incubus", travolgente e camaleontica nei toni fino al virtuosismo. Atmosfere più rarefatte con l'organo in primo piano ("Olde Tyme Future"), e sofisticate composizioni segnate da improvvise accelerazioni compongono una scaletta corposa, ricca di picchi espressivi: la trascinante "Song For a Thought", ad esempio, con l'oboe e il violino in evidenza tra echi di danze popolari, riassume benissimo il tipico sound dei Fruupp. Nel successivo "Seven Secrets" (1974) il gruppo sembra spostarsi con più decisione verso una dimensione classicheggiante, privilegiando una strumentazione quasi del tutto acustica, oppure citando Vivaldi, come nell'apertura di "Faced With Shekinah". Molto bella è "Wise as Wisdom", con un grande lavoro percussivo di Martin Foye, e i consueti breaks con la chitarra in primo piano. Prevalgono però atmosfere minimaliste, spesso acustiche e un maggiore lirismo favolistico nei testi del bassista Peter Farrelly che si riflette anche nelle voci, a tratti corali come in "White Eyes". Il pianoforte, gli archi e la chitarra acustica sono quasi sempre il cuore di queste trame strumentali, impreziosite da voci calde e malinconiche: è il caso di "Three Spires", tra i brani più riusciti. L'apoteosi di questo pop da camera è però "Elizabeth", che ricorda non a caso i Procol Harum prima maniera, e procede indolente e compiaciuta nelle sue spirali nostalgiche. Gli altri dischi usciti a nome del gruppo irlandese sono "Prince of Heaven's Eyes"(ancora 1974) e quindi l'ultimo atto di "Modern Masquerades"(1975), inciso col nuovo tastierista John Mason e una sezione-fiati in aggiunta. Varie le ristampe in circolazione.

"Future Legends"

  Fuchsia   - Originaria di Exeter, dove si forma nel 1967 nell'ambiente universitario su iniziativa del chitarrista e cantante Tony Durant, questa band inglese lascia alle cronache musicali un solo album, che nel tempo ha guadagnato una buona reputazione. Ottenuto dopo qualche anno un contratto con l'etichetta Pegasus, i Fuchsia realizzano quello che rimarrà il loro unico album dell'epoca, un omonimo () pubblicato nell'ottobre del 1971. Spesso definito come l'ennesimo esempio di folk-rock, il disco è in realtà piuttosto originale: nei sette episodi, l'insolito sestetto che include ben tre musiciste impegnate agli archi (due violini e un violoncello), suona una musica che non si presta a facili etichette, oscillando tra una sorta di pregevole folk da camera e un certo prog barocco. L'attacco di "Gone With the Mouse", sostenuto da una forte impronta ritmica, è abbastanza tipico della formula e tra i picchi della sequenza: la voce solista di Durant, seppure non sempre calibrata, è al centro di una trama molto mossa guidata dalle chitarre, con le belle voci femminili a supporto nelle spezzature, e un violino cameristico in speciale evidenza nello sviluppo del tema. Tra pause e riprese, con l'apporto degli archi sempre decisivo, scorre anche "A Tiny Book", mentre "Shoes And Ships" è un piccolo gioiello da segnalare per l'impasto davvero raffinato tra la chitarra acustica, i due violini (Janet Rogers e Vanessa Hall-Smith), più il violoncello di Madeleine Bland e il basso creativo di Michael Day. Se "Another Nail", dall'intro quasi psichedelica sul violino, è una lineare e vigorosa progressione scandita dalla batteria di Michael Gregory, poi innervata a dovere da violoncello e violini, la lunga "The Nothing Song" comunica invece una certa tensione dall'andamento incalzante, abilmente sostenuto dal basso, con chitarra e violini dalle tinte fosche, a volte dissonanti, in un clima molto gotico. Nei pezzi più brevi, le delicate armonie vocali della voce solista sono immerse nello sfondo pervasivo dei violini ("Me And My Kite"), oppure scorrono agilmente sulla chitarra elettrica di Durant in un pop-rock ricco di breaks e mai banale: è il caso della finale "Just Anyone". E' un album notevole, non privo di difetti, ma ancora oggi di grande impatto. Sciolto il gruppo per le scarse vendite, sul finire dei Settanta Durant si trasferisce in Australia, dove collabora a lungo con il gruppo Dave Warner's From the Suburbs, prima di far uscire a nome di Fuchsia II un nuovo disco come "From Psychedelia...To a Distant Place" (2013). Dal canto suo, il batterista Gregory ha suonato poi in diverse formazioni di folk-rock, come The Albion Band. Ancora attivo dopo molti anni, il gruppo inglese ha pure un sito ufficiale. Varie le ristampe disponibili in CD, con bonus-tracks, e in vinile.

"Fuchsia"

"Gone With the Mouse"

  Fusion Orchestra   - Non sempre ricordata nonostante il suo valore, la Fusion Orchestra è una band inglese che avrebbe meritato ben altra fortuna. Prende corpo verso il 1969 a Londra su iniziativa dei chitarristi Colin Dawson e Stan Land, ma è solo nel 1973, dopo un'intensa attività live e l'arrivo decisivo della cantante Jill Saward, che viene pubblicato per la Emi il primo e unico album della formazione, "Skeleton in Armour" (). Con la splendida voce di Jill Saward in grande evidenza, il quintetto propone una sequenza esplosiva dai molti sapori, tra hard rock melodico, dinamica fusion, pennellate folk e suggestioni canterburiane, abilmente miscelati con spumeggiante energia e talento indiscutibile. La vetta del disco sta forse nella lunga "Sonata in Z": sui ritmi serrati dettati dal batterista Dave Bell, la chitarra solista di Colin Dawson inanella riff in serie finché la cantante fa valere la sua vocalità trascinante in un contesto ricco di fratture e ripartenze continue. La Saward suona pure il flauto e il pianoforte in una serie di brillanti parentesi jazzate, sempre affiancata a dovere dalla chitarra e dal basso spettacolare di Dave Cowell: una prova superba, che dimostra ampiamente tutte le qualità del gruppo londinese. In realtà tutta la sequenza scorre su livelli di eccellenza, senza un attimo di noia. E' così per la title-track, vero tour de force per la batteria e un organo dalle fascinose tinte dark, con il pathos della voce e le invenzioni dei due chitarristi ancora in primo piano. La cantante mostra tutto il suo eclettismo anche in "Have I Left the Gas On?", episodio ugualmente sostenuto, con improvvise cesure che servono solo a rilanciare il tema strumentale e l'enfasi che poggia su piano e chitarra. "When My Mama's Not at Home", uscito come singolo, è un brano accattivante scandito dai fiati e da un tema melodico particolarmente mordente, che sottolinea ancora l'innato talento di Jill Saward, mentre la lunga scorribanda di "Talk to the Man in the Sky" riporta al proscenio il chitarrismo tagliente di Dawson, spalla perfetta per il camaleontismo vocale della cantante, con il batterista che picchia sui tamburi senza tregua: dopo una pausa atmosferica per voce e chitarra acustica, il pezzo si riaccende in un torrido hard prog innervato dalle spirali ficcanti del flauto. Sembra incredibile che una band di questo spessore non abbia trovato il successo negli anni d'oro del prog inglese, ma non è purtroppo il solo caso del genere. Dopo lo scioglimento nel 1975, Jill Saward è l'unica tra i componenti a proseguire l'attività con successo: dal 1980 sarà la voce degli Shakatak, rinomata band di jazz-funk. Colin Dawson ha poi dato vita con altri elementi alla Fusion Orchestra 2, che nel 2013 realizza l'album "Casting Shadows". Notizie nel sito ufficiale.

"Skeleton in Armour"

  Fusioon   - Questo gruppo spagnolo, che arriva da Manresa, presso Barcellona, è considerato uno dei migliori esempi del progressive iberico. Nel 1972 è pubblicato il primo album omonimo, interamente strumentale, che dimostra indubbie qualità tecniche e un approccio piuttosto personale che sottolinea l'aspetto ritmico. A parte la pregevole rilettura iniziale di "Danza del molinero" di Manuel De Falla, si tratta di temi della tradizione popolare rielaborati con indubbio talento per le contaminazioni: in particolare "Ya se van los pastores", col flauto in evidenza, o "Pavana espanola" (composizione del XVI° secolo), risentono del tocco jazz del pianista Manel Camp, ben supportato da basso e batteria. Vivaci anche "Rima infantil", con la chitarra solista di Martì Brunet al proscenio, "Ses porqueres", riuscita fusione di arie barocche e folk, e la chiusura di "El cant del ocells", con spazi rarefatti e godibili fraseggi per organo e chitarra. Nel secondo disco, pubblicato nel 1974 e noto come "Fusioon 2" (), il quartetto catalano firma cinque composizioni inedite dove si conferma una vena mai banale, stavolta più libera di esprimersi fuori dalla tradizione colta o popolare. Compaiono anche parti vocali con testi molto acidi, come nell'iniziale "Farsa del buen vivir", mentre la scioltezza ritmica già sperimentata si coniuga a un originale utilizzo delle tastiere, fuori dalle compiaciute pomposità di molto prog dell'epoca. Il chitarrista Brunet affianca spesso Manel Camp con buone parti di sintetizzatore: ad esempio in "Contraste", tra i momenti migliori, o anche in "Dialogos", dove le consuete spezzature ritmiche vanno di pari passo con la tensione creata da synth e percussioni. Nelle quattro parti della suite "Tritons" (che include un tema di Tchaikovskj rielaborato) e nell'epilogo della lunga "Concerto grosso", tra classicismo e delicate armonie vocali, i Fusioon mostrano una raggiunta maturità: la musica fluisce dinamica e cangiante, specie sull'organo, in uno stile personalissimo che abbina tecnica ed eleganza. Ugualmente bello è il terzo e ultimo album firmato dalla band, "Minorisa" (1975), composto di tre soli brani. Il suono si fa però più sinfonico, con maestose aperture di mellotron tra i tipici stacchi ritmici, soprattutto nella title-track, vero tour de force del tastierista Manel Camp. Più tesa e mordente la lunga "Ebusus", posta in apertura, con ampi spazi di synth, piano elettrico e l'apporto decisivo di Jordi Camp al basso, mentre l'epilogo è affidato a "Llaves del Subconsciente", esperimento suggestivo ma solo parzialmente riuscito di sonda elettronica del subconscio. Ristampe in CD di Divucsa e BMG Ariola.

"Fusioon 2"

  Fuzzy Duck   - Una storia molto oscura quella dei Fuzzy Duck, un gruppo formato a Londra nel 1970 che vanta un paio di singoli pubblicati tra l'agosto e il novembre del '71, oltre al debutto su album rimasto senza seguito. "Fuzzy Duck"(), realizzato sempre nel 1971 per la Chrysalis, ci mostra un tipico quartetto (chitarra, basso, tastiere, batteria) alle prese con un rock davvero brillante, mai troppo complesso nella sua scrittura, ma giocato sul felice connubio tra l'organo Hammond di Roy Sharland, appena uscito dalle fila del Crazy World di Arthur Brown, e la chitarra solista di Grahame White. Sono otto brani che abbracciano spesso sonorità heavy, bilanciate però da una vena melodica molto vivace che rende la musica sempre godibile, e forse anche un gradino sopra la media di altre formazioni dell'epoca più fortunate. Ottima anche la performance del bassista Mick Hawksworth (già con gli Andromeda), ad esempio nella splendida "Mrs. Prout", e autore di pezzi come "More Than I Am", un robusto hard rock che fila come un treno, fino a "In Our Time", tutti episodi impreziositi dal timbro inconfondibile dell'Hammond e da una sontuosa chitarra solista capace di inanellare un riff dietro l'altro, come nell'iniziale "Time Will Be Your Doctor", sicuramente tra i gioielli dell'album. Se aggiungiamo che le parti vocali di White e Hawksworth sono decisamente gradevoli e perfettamente incastonate nel fluido tessuto musicale, è facile capire perché l'unico disco uscito a nome dei Fuzzy Duck, per anni ingiustamente dimenticato, va oggi considerato una piccola gemma della scena rock inglese: in particolare, tutti i musicisti coinvolti hanno qualità e l'amalgama tra le parti è notevole, privo di fronzoli e sbavature poiché nel sound del gruppo non c'è traccia di certe oscurità che hanno caratterizzato la stagione del prog-rock europeo più celebrato. Una volta sciolta la band, Grahame White entra nei Capability Brown. La ristampa in CD a cura della Repertoire (1993) offre come bonus track i brani usciti come singoli e anche una traccia inedita come "No Name Face".

"Fuzzy Duck"





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