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Il nome-acronimo di questa originale formazione italiana sta per "Natural Arkestra Da Maya Alta". Esotico fin dalla sigla scelta, il gruppo nasce a Milano nel 1972 su iniziativa del violinista e percussionista Marco Cristofolini, che vanta collaborazioni con Don Cherry e sul finire dei Sessanta aveva suonato con il Quartetto, altra formazione sperimentale, insieme a Davide Mosconi e Gustavo Bonora, presenti anche nel nuovo progetto. In un organico di otto elementi che suonano strumenti acustici (archi e fiati, piano e percussioni) i NADMA si collegano in qualche modo al filone folk etnico e sperimentale di esperienze coeve come gli Aktuala, ma con un'impronta molto più selvaggia e dissonante, e larghi spazi lasciati all'improvvisazione in chiave di free jazz. Registrato alla fine del 1972 per la RCA, l'album "Uno zingaro di Atlante con un fiore a New York" è pubblicato solo nel 1973 e fin dal primo ascolto colpisce per la sua formula aperta e di ardua classificazione, molto rappresentativa del fervore creativo e senza compromessi degli anni Settanta italiani. Soprattutto i due brani più lunghi sono la testimonianza di questo spirito fuori dagli schemi: prima l'apertura di "Homage to Amilcar Cabral" (politico indipendentista della Guinea-Bissau, assassinato nel '73), avvolgente e carica di tensione, con gli archi e i sax stravolti e lancinanti di Gianfranco Pardi e Otto Corrado Davis sullo sfondo frastagliato delle percussioni, voci concitate e suoni ambientali; quindi l'epilogo di "Atlantide-Maya-Veda Rhyton", lenta progressione atmosferica tra flauti, tromba e sax, violoncello (Marino Vismara), il pianoforte dissonante e le percussioni di Cristofolini. Sembra che ogni strumento vada per conto suo, ma il suono assume alla lunga un potere quasi ipnotico nel suo incedere letargico, sottolineato dalla tromba di Pardi. La breve "Chant" è dominata invece dal violino di Bonora e da una voce arcana che sembra arrivare da remote civiltà. "Dabya" è sviluppato s'un violino balbettante, prima di assumere le cadenze virtuosistiche di una danza rituale, affiancato dal sax distorto nell'ultima parte, mentre "Energia" vive su ritmi tribali e ossessivi, tra il piano e i fiati che sembrano cozzare tra loro in un insieme ansiogeno che deflagra nel caos. L'esperienza non ha un seguito e brucia in fretta, come un oggetto misterioso nel calderone sonoro di quegli anni. Davide Mosconi lavora poi nel circuito della musica contemporanea, Bonora nella pittura, e Pardi come designer, ma sono scomparsi da tempo. Il fiatista Otto Corrado e Marino Vismara si uniscono proprio agli Aktuala al tempo de "La terra", mentre il contrabbassista Mino Ceretti è ancora attivo come pittore. Nel 2006 è stato pubblicato anche "Paura", un live risalente al 1973. Ristampe a cura di RCA (cd) e Die Schachtel (vinile). |
"Uno zingaro di Atlante con un fiore a New York"
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La sigla National Health nasce sulle ceneri di Hatfield and The North, ad opera di Dave Stewart, Phil Miller e la stessa cantante Amanda Parsons nel 1975. Dopo un paio d'anni di attività puramente live, con un organico mutevole che include tra l'altro Bill Bruford e Mont Campbell (Egg), la band si stabilizza col bassista Neil Murray e il batterista Pip Pyle, per realizzare il primo disco omonimo all'inizio del 1978. La musica è un jazz venato di rock, piuttosto corposo, dominato dalle tastiere di Stewart e il synth cerebrale di Alan Gowen, ex-Gilgamesh, che contribuisce fattivamente alla stesura dei pezzi (due portano la sua firma) anche se esce subito dalla band per riformare la vecchia formazione. Il meglio sta nei due episodi più lunghi, "Tenemos Roads" e "Elephants": nel primo, la robusta e ipnotica pulsione strumentale, con organo e chitarra in primo piano, incorpora anche i vocalizzi inconfondibili di Amanda Parsons a richiamare l'esperienza del gruppo-madre. Nel secondo brano, caratterizzato da effetti elettronici e una progressione più cerebrale, col basso in evidenza, la musica dei National Health si avvicina a certi esperimenti di fusion più moderna, ricca di fratture irrorate dall'uso massiccio del sintetizzatore. E' un disco di grande qualità, così come il secondo, "Of Queues and Cures"(![]() |
"Of Queues and Cures" |
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Gruppo formato nel 1969 ad Amburgo da inglesi espatriati in Germania, i Nektar sono un'espressione molto interessante di un progressive cosiddetto minore che in questo caso può vantare una corposa discografia baciata spesso dal successo. Dopo l'esordio di "Journey to the Centre of the Eye"(1971) è soprattutto il successivo "A Tab In the Ocean" (1972) a mostrare le migliori qualità del suono-Nektar e li rende popolarissimi in Germania: è un prog apertamente sinfonico e a volte maestoso, con qualche venatura di space-rock, come nella lunga suite omonima che resta forse il vertice espressivo del gruppo. Equamente bilanciato tra le trame delle sontuose tastiere di Allan Freeman e la chitarra solista, senza dimenticare una certa psichedelia ("Desolation Valley" ad esempio) e un rock più abrasivo e acido ("Crying In The Dark"), supportato a dovere da una robusta sezione ritmica, il disco è davvero un'opera di ottimo livello, ben accolta da pubblico e critica. Indubbiamente, si sentono a tratti influenze diverse (soprattutto gli Yes), tuttavia la band, all'indomani di "Sound Like This", sa esprimersi ancora con discreta personalità in un album come "Remember the Future" (1973)![]() |
"Remember the Future" |
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Una formazione francese originaria di Sarreguemines, nella Lorena, che si mette insieme nel 1978 e lascia un solo album omonimo (![]() |
"Neo" |
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Una band tedesca, originaria del Saarland, che sul finire dei Settanta si colloca sulle orme del più tipico prog favolistico-romantico e in particolare dei Genesis. L'unico disco dato alle stampe dai Neuschwanstein, che prendono il nome dal famoso castello omonimo, è "Battlement", registrato nell'ottobre 1978 e pubblicato solo all'inizio dell'anno successivo. Il sestetto è imperniato sulle tastiere di Thomas Neuroth e sulla voce solista del francese Frederic Joos, con molto spazio anche per flauto, synth e chitarre acustiche: sin dall'attacco di "Loafer Jack", comunque, è chiaro che siamo di fronte a una vera clonazione del suono-Genesis, riprodotto sia nei dettagli che nell'approccio generale. La voce di Joos è quasi identica a quella di Peter Gabriel, per dirne una, e a tratti sembra davvero di ascoltare una versione persino pedante del gruppo inglese. Detto questo, l'album è una raccolta di sei episodi suonati con molto mestiere e anche discreta verve strumentale, vivace nell'alternanza dei timbri e mai noioso, sia pure nei limiti dell'esercizio di stile. La formula prevede le parti vocali, in inglese, sempre in primo piano, con la parte strumentale che ne asseconda gli umori con grande duttilità. In questo senso si apprezza la bucolica "Ice with Dwale", introdotta da chitarre acustiche e flauto, con bei passaggi di piano e la voce che incide con la consueta abilità. Di buona suggestione anche "Beyond the Bugle", col basso che si ritaglia un ruolo primario e qualche coloritura elettronica di spicco, e la progressione ad effetto della title track: organo, percussioni e synth ancora protagonisti. L'unico strumentale è il brano in coda, "Zärtlicher Abschied", ennesima variazione sul tema di un prog romantico e lussureggiante, con la ritmica molto dinamica, e le soavi armonie di un flauto molto evocativo. Insomma, il disco è molto gradevole e ben suonato, peccato però che arrivi con almeno sei-sette anni di ritardo sul modello originale. La ristampa Musea 1992 include una bonus track. |
"Battlement" |
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Band inglese di medio valore che realizza due album a metà dei Settanta. A fondarla nel 1973 sono due ex-Man come Phil Ryan (tastiere) e Will Youatt (basso/chitarra), insieme ad altri musicisti come il batterista John Weathers (Gentle Giant). Nel primo disco, "Black Hole Star" (1974) suona un settetto ben affiatato alle prese con un repertorio piuttosto melodico, ben arrangiato e non privo di ambizioni strumentali. Il gruppo è lontano dal progressive barocco-sinfonico più celebrato, e dà il meglio in episodi aggraziati come "Feel", o la bella "Mermaid and Chips", un gioiellino col pianoforte e le voci in primo piano, fino alla trasognata "Going to India", dove spiccano il canto di Caromay Dixon e il violino di Stuart Gordon. L'apertura di "Living in the World Today" mostra invece il versante rock dei Neutrons, con chitarra elettrica e synth protagonisti, mentre nell'epilogo di "Snow covered eyes" la chitarra è affiancata dal fraseggio efficace dell'organo di Ryan. Notevole è anche "Dangerous Decisions", uno strumentale raffinato che può ricordare i Gentle Giant, ancora col synth in evidenza. Il successivo e ultimo disco del gruppo è "Tales From the Blue Cocoons" (1975), inciso senza Weathers e Gordon. La qualità della proposta rimane discreta: "Come Into My Cave", ad esempio, è un dark-rock sincopato di buona atmosfera, così come "Northern Midnight", cantata da Martin Wallace, scivola via intrigante con un pregevole solo di chitarra di Will Youatt. Al primo disco rimanda "L'hippie Nationale", caratterizzata dalla voce delicata della Dixon e un bell'intreccio di chitarre. Più ammiccanti sono "Take your Further", con Ryan impegnato al piano elettrico, e l'attacco molto tirato di "No More Straights", costruito sul synt e le chitarre ritmiche, mentre Phil Ryan si sbizzarrisce in "Wesh R Blunt or the Dexedrine Dormouse", vivace intermezzo tra pianoforte e organo. La mistura ben confezionata di pop melodico, folk-rock e toni acidi dei Neutrons, comunque, conserva ancora oggi una certa attrattiva. I due dischi sono stati riuniti in CD dalla BGO (2003). |
"Tales From the Blue Cocoons" |
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Una delle prime formazioni inglesi a immettere elementi classici nel rock (con i Procol Harum), The Nice nascono nel 1967 accompagnando la cantante soul americana P.P. Arnold nella sua tournée nel Regno Unito. Assolto quest'impegno, il quartetto esordisce quindi lo stesso anno su album con "The Thoughts of Emerlist Davjack". Il tastierista Keith Emerson è di certo l'elemento più talentuoso della band, e alterna con uguale disinvoltura arie già famose (come "America" di Bernstein) alle prime contaminazioni con la tradizione classica ("Rondò"), e destreggiandosi abilmente all'organo. Lo assecondano soprattutto il chitarrista David O'List e il bassista/cantante Lee Jackson, specie nel pop psichedelico di "The Cry of Eugene", "The Diamond Hard Apples of the Moon" e della title-track. Il disco è tutt'altro che omogeneo, ma contiene le prime intuizioni che faranno scuola per lo sviluppo del prog classicheggiante. Dopo la cacciata di O'List, travolto dall'uso di stupefacenti, il gruppo prosegue come trio, un organico inedito per l'epoca, e il risultato è il celebrato "Ars Longa Vita Brevis"(1968). Il gruppo inanella nuove tracce di pop melodico sempre brillante ("Happy Freuds"), a volte tinto di jazz ("Little Arabella"), ma ora Emerson attinge a piene mani al repertorio sinfonico. Da una parte il recupero del sottovalutato compositore Sibelius ("Intermezzo from the Karelia Suite") e dall'altra soprattutto il Bach dei concerti brandenburghesi, rivisitato in "Prelude": sei movimenti che affiancano la solennità originale con il virtuosismo impertinente e iconoclasta del rock, tra assoli di batteria, riff elettrici e variazioni per piano e organo. Un disco, comunque sia, di importanza storica per l'affermazione del progressive barocco e sinfonico. A parere di molti è però il successivo "Nice" (1969)![]() |
"Nice" |
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Gruppo parigino formato nel 1978, i Nightrider appartengono alla schiera dei gruppi francesi, e sono diversi, che si fanno notare proprio nell'ultimo scorcio degli anni Settanta, quando il rock progressivo ha dato già il meglio. Messi sotto contratto dalla CBS, i sei musicisti realizzano nel Settembre del 1979 l'album d'esordio omonimo (![]() |
"Nightrider"
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Messa insieme a Salo nel 1971 dai cugini Juha-Pekka e Matti Jokiranta insieme al chitarrista Harri Suilamo, quella dei Nimbus (in precedenza noti come Mafia) è una delle formazioni finlandesi più oscure nel contesto prog dell'epoca, tanto che non esistono ristampe ufficiali del loro unico album antecedenti il 2013. Nonostante questo, "Obus" (![]() |
"Obus" |
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Eccentrica band tedesca formata a Mannheim nel 1966 dal cantante Walter Seyffer. Il quintetto che nel 1971 realizza l'album di debutto omonimo (![]() ![]() |
"Nine Days' Wonder" |
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Da non confondere con l'omonima band americana di Kurt Cobain, i Nirvana inglesi sono una creatura di Alex Spyropoulos (tastiere) e del cantante/chitarrista irlandese Patrick Campbell-Lyons. Messa insieme una band nel 1967, esordiscono con il pop psichedelico del concept-album "The Story of Simon Simopath" (1968), pieno di melodie di gusto beatlesiano come "Pentecost Hotel". Lo stesso anno esce quindi "All of Us", ancora per la Island: il disco raccoglie anche alcuni 45 giri già pubblicati, tra cui "Rainbow Chaser", episodio con arrangiamenti ad effetto che ottiene buone vendite. Il terzo album del duo è invece "To Markos III" (1969), pubblicato prima in America che in patria: il titolo è un omaggio allo zio greco di Spyropoulos, che finanziò parte del progetto. E' ancora una sequenza di dieci brani molto melodici, come l'iniziale "The world is cold without you" o "Talk to my room", con delicate armonie vocali e corposi arrangiamenti orchestrali, ad esempio "Aline, cherie". "Black Flower" regala un bel solo chitarristico nel finale, ma il disco non offre grandi sorprese, pur se gradevole. A questo punto Campbell-Lyons, sciolto il sodalizio con Spyropoulos, inizia a produrre nuovi artisti per la Vertigo, e per la stessa etichetta realizza a nome Nirvana un album come "Local Anaesthetic" (1971): due soli episodi molto lunghi, nei quali il cantante è assistito dal fiatista Mel Collins e membri dei Jade Warrior. Sin dalle prime note di "Modus operandi" lo stacco dal passato è netto: suoni d'organo e sax distorti preludono a una miscellanea un po' frammentaria di rock'n'roll, umori country-folk e qualche effetto elettronico, con voci sopra le righe, batteria, chitarra solista e piano in evidenza. "Home" è invece una suite in cinque parti, assemblata con maggior rigore. Dopo l'intro percussiva, Campbell-Lyons recupera il suo cantato più tipico, attraverso atmosfere più fluide che compendiano ballate blues per pianoforte, morbido chitarrismo psichedelico su tappeti di mellotron, voci corali molto "sixties". Il disco è interessante, ma si nota l'assenza di una chiara direzione stilistica. Segue "Songs of Love and Praise" (1972), con nuove versioni di "Rainbow chaser" e "Pentecost hotel" e pezzi inediti. Torna a prevalere un repertorio di pop-songs orchestrali, piuttosto omogeneo nei risultati: soprattutto "Please believe me", "Lord up above" o "Will there be me", col flauto in primo piano. "She's lost it" è invece un nervoso rock-blues per piano, chitarra acustica e percussioni, mentre nella chiusura di "Stadium" suono orchestrale e pianismo jazz si fondono in una progressione efficace, coi fiati protagonisti. Successivamente, Campbell-Lyons firma altri dischi a proprio nome, ma in periodiche reunions con Spyropoulos rispolvera vecchio materiale inedito. |
"Local Anaesthetic" |
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Quartetto inglese piuttosto misterioso, nato con il nome The Power alla fine dei Sessanta, e responsabile di un solo album. Le notizie su questa formazione "all black" (la prima nel rock britannico) sono poche: il batterista e cantante Barry Ford ha suonato in seguito in gruppi minori come Clancy e Merger, ma il più noto è il chitarrista Gordon Hunte, nativo della Guyana e attivo in bands come Gonzalez e Myd Nit Sun, oltre che collaboratore della nota cantante Sade. L'unico disco pubblicato dai Noir è "We Had To Let You Have It" (![]() |
"We Had To Let You Have It" |
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Da Amburgo, i Novalis sono uno dei gruppi più noti del progressive sinfonico tedesco. Romantici almeno quanto il poeta cui si richiamano, si formano nel 1971 e arrivano al debutto discografico nel 1973 con "Banished bridge", senza apprezzabili riconoscimenti. Migliori consensi ottiene invece "Novalis" (1975), discreta seconda prova nella quale il rinnovato quintetto (chitarra/tastiere, tastiere, chitarra, basso/voce e batteria), offre un rock imperniato sulle ricche tastiere di Lutz Rahn, i fraseggi eleganti di Detlef Job alla chitarra solista, e in generale un'atmosfera sognante sempre gradevole. Notevole l'apporto del synth nell'iniziale "Sonnengeflet", ma le cose migliori vengono dai brani più estesi, come "Wer schmetterlinge lachen hort": cambi di tempo sul synth, l'organo e il basso pulsante (Heino Schunzel), intervallati da scenari rarefatti e dominati da voci assorte di buona suggestione. Lo stile vira verso un tipico space-rock in "Dronsz", sempre sorretto da una ritmica pulsante. "Es färbte sich die Wiese grün" (posta in chiusura) recupera poi un testo originale (1798) del nume Novalis in persona, al centro di lunghe e cerebrali combinazioni tra chitarra e tastiere, e "Impressionen" riadatta il tema della Quinta sinfonia di Anton Bruckner. Un bel disco, insomma, ma è solo il successivo "Sommerabend" (1976)![]() |
"Sommerabend" |
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Poca gloria per i Numi, una formazione pavese formatasi nel 1967 dall'unione di musicisti già impegnati in alcuni gruppi beat locali, che realizza l'album "Alpha Ralpha Boulevard" nel 1971 su etichetta Polaris. Al disco contribuisce il cantautore Guido Bolzoni, un estroso personaggio noto anche per le sue collaborazioni eccellenti (Mina su tutti) e per un album solista come "Happening", pubblicato nel 1969 con il nome abbreviato in Guido. In questo caso, Bolzoni firma in solitudine tutti i brani del disco, indirizzando decisamente la musica del quintetto (chitarra/basso, chitarra/voce, chitarra, tastiere e batteria) verso tranquille ballate di morbido pop, con tracce di blues e qualche richiamo al beat del decennio precedente: "325" ad esempio. Con lunghe parti cantate e pochi intermezzi strumentali delle due chitarre da ricordare, la musica dei Numi scorre dunque piuttosto lineare, senza grandi sorprese. Restano piuttosto defilate, oltretutto, le tastiere di Beppe Tiranzoni, a parte qualche momento più psichedelico, come "Luce e gloria per te", con il fattivo apporto del basso di Paolo Buccelli accanto all'organo. Dei sette brani che compongono il disco, conditi da una morbida vena melodica abbastanza gradevole, in particolare "San Miguel" con l'organo di spalla ai buoni riff chitarristici, il solo episodio strumentale in odore di prog, con tanto di flauto alla Jan Anderson, è il breve "Furma materiae progredientis", ma oltre a mancare di sviluppo adeguato rimane scollegato rispetto al resto della sequenza. I testi, romantici e sentimentali, interpretati con vena alterna da Roberto Tava (ma la lunga title-track è cantata dallo stesso Bolzoni) sono anche interessanti, però in buona sostanza il progressive vero e proprio, che si affermerà in Italia di lì a poco, non abita ancora qui e i Numi escono rapidamente di scena nel 1972, quando il batterista Furio Sollazzi entra nel gruppo di Lucio Dalla. Un'effimera reunion del 1975, con l'organico parzialmente rinnovato, ha prodotto poi una lunga suite in stile molto più eclettico (tra hard rock, pop sinfonico e covers) registrata dal vivo a Pavia e pubblicata soltanto nel 1993 con il titolo "Storia di Zero". |
"Alpha Ralpha Boulevard" |
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I genovesi Nuova Idea sono la classica dimostrazione che ad un gruppo 'progressive' serve tempo per trovare la sua strada ed un linguaggio davvero personale. Le radici deIla band affondano negli anni Sessanta, con Paolo Siani (batteria) ed Enrico Casagni (basso) che suonano nei Plep, poi ribattezzati J. Plep, autori di un singolo nel 1969. Solo nel 1970 si opta per la nuova sigla e il quintetto è scritturato quindi dalla Ariston che pubblica il primo album "In the beginning" (1971): la musica però è ancora in bilico tra canzone pop e rock avanzato. Alla lunga "Come, come, come...", che occupa tutto il primo lato e mostra una genuina vena prog-psichedelica, con buone combinazioni tra la chitarra solista di Marco Zoccheddu e l'organo di Giorgio Usai, seguono quattro brani decisamente più melodici e meno interessanti, con soluzioni che rimandano fin troppo ai concittadini New Trolls. I cinque (due chitarre, basso, tastiere, batteria) fanno però un deciso passo avanti con "Mr. E. Jones" (1972), inciso senza Zoccheddu, che forma gli Osage Tribe, e col nuovo chitarrista Antonio Gabelli. E' un album-concept prodotto da Gianfranco Reverberi, basato sulla tremenda giornata-tipo di un comune impiegato. La musica ora acquista spessore e scivola piacevolmente tra spunti di robusto rock melodico, come nell'incisiva title track, e momenti strumentali più elaborati, come "Un'ora del tuo tempo" e soprattutto "Illusione da poco", senza perdere di vista la vivacità degli impasti vocali che caratterizza tutte le band genovesi. Infine, nel 1973, esce "Clowns"(![]() |
"Clowns" |
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Nurt - Originari di Wrocław, nella Bassa Slesia, i polacchi Nurt (cioè "corrente") si formano nel 1971 da una costola della band Romuald i Roman, dove militavano il cantante-chitarrista Roman Runowicz e il bassista-tastierista Kazimierz Cwynar. Dopo aver raccolto elogi e premi al Festival di Kalisz del 1972, e poi a quello di Jazz sull'Oder, il gruppo ottiene finalmente di poter registrare lo stesso anno il suo album d'esordio omonimo (![]() |
"Nurt" |
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