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E.A. Poe Earth & Fire Manfred Mann's Earth Band East East Of Eden Eden Rose Egg Eiliff

Ekseption Electric Sandwich Eloy Emtidi Eneide England Epidaurus Epsilon Era di Acquario Ergo Sum Erlkoenig

Errata Corrige Esperanto Espíritu Tony Esposito Estructura Etna Ex Vitae Exit Exmagma Exploit

 

 

  E. A. Poe   - Di questa band misteriosa che si richiama al grande scrittore americano, e soprattutto dei suoi componenti, non si è saputo praticamente niente per anni. Oggi sappiamo invece che dietro questo nome c'erano Giorgio Foti (tastiere/voce), Beppe Ronco (chitarra/mandolino) e Lello Foti (batteria), cioè un trio di Ornago (Milano) che affonda le sue remote origini in un complessino Beat di adolescenti chiamato Angelo e gli Spacemen, che per anni si dedicano a suonare covers di hard rock. Solo nel 1970 viene scelta la sigla E.A. Poe, e al trio di base si aggiunge il bassista Marco Maggi, coinvolto nell'incisione del loro unico album realizzato per l'etichetta Kansas. "Generazioni - Storia di sempre" , registrato nel 1974 ma distribuito probabilmente all'inizio dell'anno seguente, ci offre infatti un tipico quartetto che rivela nei sette episodi una vena variegata, apprezzabile soprattutto per la freschezza e il piglio della proposta, anche se il dosaggio a tratti suona ancora acerbo. Sono generalmente brani nervosi e dinamici, dominati dalle tastiere di Foti, ma con vivaci spunti della chitarra di Ronco a supporto, come nella stessa title-track, ma soprattutto in episodi come "Considerazioni" e "Alla ricerca di una dimensione", sicuramente tra i picchi del disco. Nella sequenza non mancano neppure interessanti spunti vagamente jazz, come nell'iniziale "Prologo", un brano costruito intorno al basso di Maggi. Tutt'altro che banali le liriche di stampo generazionale, come si deduce dal titolo stesso del disco, dal tono acido e spesso apertamente polemico ("Ad un vecchio"), sebbene le parti vocali del tastierista non risultino sempre convincenti. Qua e là affiora anche qualche melodia acustica di stampo più intimista, con testi e atmosfere dal forte sapore vissuto, ad esempio "La ballata del cane infelice" e quindi la più sofferta "Per un'anima". In sostanza, sebbene non privo di ingenuità e piccole sbavature tipiche di ogni opera prima, il solo album uscito a nome dei lombardi, riedito in vinile e in CD da Vinyl Magic/BTF, è sicuramente da ascoltare perché ha dei momenti intensi che catturano l'attenzione. Le ultime tracce della band sono legate a un 45 giri del 1976, stavolta firmato col nome esteso Edgar Allan Poe, che sviluppa il tema musicale di un film celebre come "Lo squalo": si tratta di "Jaws- Main title"/"Jaws- End title", pubblicato per l'etichetta Shark.

"Generazioni-Storia di sempre"

  Earth & Fire   - Formazione olandese nata nel 1968 a L'Aja ad opera dei due fratelli Chris e Gerard Koerts (chitarre e tastiere rispettivamente), e caratterizzata dalla distintiva voce femminile di Jerney Kaagman. All'album di debutto omonimo (1969), segue quindi "Songs of Marching Children"(1971), con l'organico a cinque (chitarra, tastiere, basso, batteria e voce solista): è un buon esempio di pop sinfonico, in bilico tra brevi composizioni melodiche dominate dal flauto e dalla voce femminile ("Ebbtide") e placidi strumentali con chitarra e organo protagonisti ("In the Mountains"). Spicca soprattutto la lunga suite del titolo, ben distribuita tra solenni parti di mellotron e ritmi marziali. Più rifinito, forse più consapevole, è il successivo "Atlantis"(1973), dalla vena morbida e malinconica, priva di forzature. La lunga suite omonima, composta di sette segmenti, si divide equamente tra i vivaci inserti vocali della Kaagman ("Rise and Fall") e momenti più ambiziosi, con eccellenti spunti di mellotron e chitarra dalle tipiche risonanze sinfoniche: un valido esempio è costituito dall'evocativa "Theme of Atlantis", introdotta dalle note di un flauto trasognato. Il resto del disco, che include anche un paio di tracce meno impegnative e melodiche, come "Maybe Tomorrow, Maybe Tonight", rispetta con la classica misura un po' scolastica della band questa alternanza di temi maestosi e altri più mossi, trovando in "Fanfare" un altro pezzo forte della sequenza. Due anni dopo il gruppo, ormai popolarissimo in patria, incide "To the World of the Future" (1975) che mostra un suono più sofisticato, specie nell'uso delle tastiere e del synth di Gerard Koerts. Lo si vede già nella lunga title-track di apertura, divisa tra effetti elettronici, brillanti parti vocali e limpidi spunti di chitarra su liquide tastiere in stile 'space rock'. Tracce di funky-jazz affiorano in brani strumentali come "The Last Seagull", peraltro connotata da un grande lavoro alle tastiere, mentre la ritmica jazzata di "Voice from yonder" è pure arricchita dall'ottima chitarra solista in un'orchestrazione sempre sontuosa. La Kaagman sfodera invece la sua bella voce in brani più brevi, come "Only time will tell" e la conclusiva "Circus", ariosa e infarcita di breaks strumentali. Con "Gate to Infinity"(1977), la band olandese sembra invece aprirsi a soluzioni più facili. Non che manchino brani interessanti, come "Infinity", romantica composizione introdotta dal pianoforte, e giocata su effetti evocativi a tinte esotiche di un certo effetto, ma il modello che prevale è quello del pezzo breve, dove la voce solista ha modo di imporsi. A volte, come in "Dizzy raptures", con una certa finezza, altre volte decisamente no. Così come altri gruppi, ad esempio i connazionali Kayak, anche gli Earth & Fire diventano un gruppo di puro pop melodico, senza offrire più le ottime cose degli inizi, per chiudere la propria carriera nei primi anni Ottanta.

"Atlantis"

  Manfred Mann's Earth Band   - Nato nel 1940 a Johannesburg, in Sudafrica, il tastierista Manfred Mann (all'anagrafe Manfred Sepse Lubowitz), si trasferisce in Inghilterra nel 1961, e con la sua band incide singoli di successo come "Do Wah Diddy Diddy" e "If You Gotta Go, Go Now" (di Bob Dylan). Nel 1969 vira verso il jazz-rock con i Manfred Mann Chapter Tree e il cantante Mike Hugg: escono due buoni album per la Vertigo, poi il gruppo si sfalda e Mann fonda la Earth Band nel 1971. Lo stile è un rock-prog venato di blues, come si nota nell'esordio omonimo (1972): dieci tracce ben suonate da un quartetto affiatato, col tastierista che si destreggia tra organo e synth. Metà sono covers, come "Living Without You" (Randy Newman) o "Please Mrs Henry" (Dylan), fino al blues "Captain Bobby Stout", mentre tra i pezzi firmati da Mann spiccano lo strumentale "Tribute", molto atmosferico, e il rock incalzante di "Prayer", guidato dalla chitarra di Mick Rogers. Il successivo "Glorified Magnified (ancora '72) offre un'altra cover da Dylan ("It's All Over Now, Baby Blue"), ma soprattutto brani originali: belle "I'm Gonna Have You All", l'esperimento elettronico della title-track, e un paio di pezzi dove Mick Rogers fa valere la sua chitarra, come "Our Friend George". Il periodo migliore inizia con l'album "Messin'" del 1973. I brani si allungano e il suono si fa più corposo: spicca la title-track, un crescendo ad effetto tra synth e chitarra. "Cloudy Eyes" è un tema strumentale che Mann scrisse per un musical poi sfumato, mentre "Get You Rocks Off" è un'altra cover dylaniana in chiave rock, e "Buddah" una ballata su temi religiosi poi dirottata verso un vibrante rock chitarristico con vivaci inserti di synth. Il successivo "Solar Fire" (1973) è il capolavoro della Earth Band, fin dalla splendida "Father of Day, Father of Night", che trasforma un breve pezzo di Dylan in una maestosa progressione sinfonica, con la chitarra di Rogers sullo sfondo epico delle tastiere di Mann. Il tastierista si diletta coi suoni elettronici nella breve "Pluto the Dog", e poi nella suggestiva title-track, con voci corali e ancora la chitarra solista in evidenza sullo sfondo spaziale. Il rock più sanguigno compare nella bella "In the Beginning, Darkness", ma l'album privilegia un raffinato prog di suoni calibrati: ad esempio la sequenza "Saturn, Lord of the Ring / Mercury, the Winged Messenger", con trascinanti incroci di synth e chitarra nella seconda parte, mentre i due segmenti di "Earth, the Circle" lasciano spazio al synth estroso del leader. Segue "The Good Earth" (1974), con una facciata di covers e una seconda di pezzi originali: l'incipit è "Give Me The Good Earth" (Gary Wright), con l'uso massiccio del synth, che Mann ripete in quasi tutti i pezzi. Bella la chitarra limpida e il canto di Rogers in "Launching Place", una delle due covers dagli australiani Spectrum. La raccolta è meno spettacolare della precedente, ma ha buoni momenti: "Earth Hymn", con il synth protagonista e una sterzata ritmica nella seconda parte, e il ficcante strumentale "Sky High", con l'ottimo lavoro al basso di Colin Pattenden accanto al synth pirotecnico. Ancora bello è "Nightingales and Bombers"(1975), che include "Spirits in the Night" di Bruce Springsteen (allora semisconosciuto), e un rock teso e convincente come "Time Is Right", tra suoni elettronici e la chitarra tagliente di Rogers. Il synth domina brani tirati come "Crossfade" e l'atmosferica title-track, col basso in evidenza, mentre "Visionary Mountains" è una ballata di ampio respiro e "Fat Nelly" una rock song originale. Rogers lascia subito dopo, e Mann seguita a incidere dischi sempre dignitosi con una band via via rinnovata. Notizie nel sito ufficiale.

"Solar Fire"

"Father of Day, Father of Night"

  East   - Questa band ungherese si forma nel 1975 a Szeged, quasi al confine con la Serbia, ma solo all'inizio degli anni Ottanta trova uno sbocco discografico. Schierato a quintetto, il gruppo realizza "Játékok" (vale a dire "Giochi") nel 1981, proponendo una sorta di progressive sinfonico aggiornato nei suoni al nuovo decennio. Nel segno del valido tastierista Géza Pálvölgyi, si avvicendano così dieci brani in bilico tra spunti classicheggianti, un pizzico di space-rock e ambizioni più melodiche, con il canto trasognato di Miklós Zareczky in primo piano. "Messze a felhõkkel" è un tipico esempio dello stile-East: synth in evidenza che culla morbidamente le parti vocali, contrappunto pulsante del basso e "calligrafico" inserto chitarristico di János Varga, con un'accelerazione ritmica solo nel finale. Neppure nelle pagine rock più incisive il gruppo eccede mai nei toni: è il caso di come "Szállj most fel" e poi di "Üzenet" ("Messaggio"), con il crescendo della voce solista in uno schema rock di bella tensione, o dello strumentale di chiusura "Remény", che conferma il valore tecnico della band magiara. Nel complesso, manca forse la zampata vincente, anche se il disco riceve una discreta accoglienza. E' però solo con il successivo "Hüség" (cioè "Fede"), realizzato nel 1982, che il gruppo ottiene i suoi risultati migliori. Fin dall'attacco brioso della title-track, i cinque sembrano aver acquisito grinta e convinzione, regalando una sequenza musicale di tutto rispetto. Se tra gli altri strumentali si segnala "Mágikus eró", bel connubio di tastiere e chitarra solista all'insegna di vorticosi cambi di tempo, tra i titoli cantati spicca "Várni kell" ("Devi aspettare"), composizione avvolgente che rimarca la buona presenza vocale di Zareczky, bravo anche in "Keresd õnmagad": in questi brani il crescendo delle tastiere, e i suggestivi breaks chitarristici di Varga, fotografano al meglio i pregi del gruppo ungherese. "Ablakok" ("Finestre") ha invece una ritmica pulsante, e la più atmosferica "Vesztesek" ("Perdenti") procede con passo felpato tra spirali di synth e lunghi soli chitarristici, mentre "Én voltam" è dominata dal maestoso organo di Pálvölgyi che si alterna al delicato canto solista. Peccato che sia anche l'ultimo contributo al neo-prog degli East, che subito dopo, rimpiazzato Zareczky con il nuovo cantante József Tisza, sterzano decisamente verso un pop melodico più commerciale, a cominciare da "Rések a falon" (1983). La band rimane ancora oggi, comunque, una delle più amate in patria. CD a cura di Hungaroton/Gong. Altre notizie nel sito ufficiale.

"Hüség"

  East Of Eden   - Una singolare meteora del prog britannico, titolare di due dischi di valore assoluto e poi tradita dal miraggio del successo commerciale. A fondare la band nel 1968 è il geniale violinista e polistrumentista Dave Arbus insieme a Ron Caines (fiati e organo) e Jeoff Nicholson (chitarra/voce) tra gli altri: dopo un primo 45 giri, il quintetto realizza il suo primo album per la Deram nel 1969. S'intitola "Mercator Projected" (Mercatore era un cartografo finlandese del '500), e presenta un'incredibile quantità di suggestioni musicali, che vanno dai sapori esotici di "Waterways" e "Bathers", con il violino, il sax e il flauto in evidenza, al rock cadenzato di "Northern hemisphere", passando per il folk-rock virtuosistico di "Communion" (che rilegge Bartok) tutto giocato sulle corde del magico violino elettrico di Arbus, fino a momenti del tutto inclassificabili. Spicca "Centaur woman", dove blues-rock, free jazz e improvvisazione si fondono in maniera davvero originale, ma anche l'atmosfera evocativa di "Moth" conferma il potenziale sonoro del gruppo, che rifugge da ogni formula per fondere echi orientali e sperimentali in un impasto senza confronti. Il materiale è firmato in gran parte dal bravo Caines, ma il vero mattatore è Dave Arbus, che suona violino, flauto e tromba senza risparmio per l'intero disco. Subito adocchiato dalla critica, rimpiazzati bassista e batterista, il gruppo sforna quindi un secondo disco come "Snafu" (1970) che mantiene tutte le promesse. L'aspetto sperimentale è ancora più evidente, sfruttando bizzarrie come nastri suonati a rovescio ("Xhorkom") o l'effetto loop ("Uno transit clapori"), ma il talento del duo Arbus/Caines emerge limpidamente in tutta la sequenza. Bella la progressione etnico-jazzata di "Leaping beauties for Rudy/Marcus junior", coi fiati protagonisti, e irresistibile il violino di Arbus nella splendida "Nympherburger", corredata dalla chitarra solista di Nicholson, mentre "Gum arabic/Confucius" tiene fede al titolo, coi richiami orientali garantiti da percussioni e flauto. All'album segue il singolo "Jig-a-jig", un facile folk-rock dal riff contagioso, il cui successo spinge il gruppo a sfruttare l'improvvisa fama con una serie di album via via meno interessanti. "East Of Eden" (1971) e poi "Jig-a-jig", che mescola il singolo con estratti dei primi due dischi, mostrano i primi cedimenti. Arbus lascia dopo "New Leaf" (1971), e senza di lui la band, trasferita in Germania, smarrisce la sua vena migliore. Nei Novanta, a partire da "Kalipse" (1997), Arbus e Caines riformano il gruppo su basi jazz-rock.

"Mercator Projected"

  Eden Rose   - Formazione francese della prima ora, gli Eden Rose nascono a Marsiglia nel 1969: i fondatori sono Henri Garella (tastiere) e Christian Clairefond (basso), che in precedenza suonavano a supporto di noti cantanti francesi. Con l'aggiunta del batterista Michel Jullien realizzano proprio nel 1969 il singolo "Reinyet Number"/"Obsession", ma è solo con il successivo "Under the Sun"/"Travelling" (1970) che il gruppo prende forma: all'incisione partecipa infatti il chitarrista parigino Jean-Pierre Alarcen, che grazie a un'immediata alchimia con il trio diventa in breve tempo il quarto membro effettivo. Sempre nel 1970 per la Katema viene quindi pubblicato l'album "On the Way to Eden", che mostra la transizione tra le sonorità più sixties e la nuova dimensione progressive. Le otto tracce, tutte strumentali e firmate da Garella, dispiegano le classiche influenze dell'epoca con discreta tecnica e un buon amalgama tra i quattro, sia pure con risultati altalenanti. Le tastiere di Garella sono di gran lunga dominanti, secondo la formula portata in auge da virtuosi quali Brian Auger e simili, ma la chitarra solista di Alarcen aggiunge una nota più imprevedibile alla ricetta. Frizzante l'attacco della title-track, un motivo ben articolato tra pause e riprese, così come "Feeling in the Living" e soprattutto "Faster and Faster", episodi che si reggono sul grande lavoro congiunto di basso e batteria, con calibrati interventi chitarristici a integrare le fitte trame dell'organo. Anche se i brani erano stati pensati per un trio in funzione delle tastiere, bisogna dire che la chitarra si aggiunge discretamente allo schema, sia in senso solistico che ritmico. Alarcen mostra tutto il suo ragguardevole bagaglio tecnico soprattutto nella prima parte di "Obsession", e anche in "Travelling", un brano tiratissimo che nella versione a 45 giri diventerà la sigla di uno show televisivo dell'epoca. A volte si avverte un chiaro influsso di artisti più famosi: è soprattutto il caso della lenta "Sad Dream", dove la raffinata chitarra solista sa creare insieme a organo e pianoforte un'atmosfera malinconica molto prossima ai migliori Procol Harum di fine anni Sessanta. Se la chiusura di "Reinyet Number", sincopata e quasi jazz con le percussioni in evidenza, si lascia ascoltare volentieri, non può dirsi lo stesso per la stucchevole "Walking in the Sea", decisamente noiosa. Tra alti e bassi, l'unico album firmato Eden Rose lascia in fondo buone sensazioni, ma rimane lontano dal prog più ambizioso e maturo che gli stessi musicisti metteranno in campo con la nuova sigla Sandrose. Ristampe in CD con bonus-tracks a cura di Lion, Musea e Belle Antique, e di Guersenn in vinile.

"On the Way to Eden"

"On the Way to Eden"

  Egg   - Altra emanazione di Canterbury, Egg è un trio che si evolve da una band come gli Uriel, formata nell'ambito scolastico londinese da Steve Hillage, Dave Stewart (tastiere) e Mont Campbell (basso e voce) con il batterista Clive Brooks. Nel 1969 incidono un album a nome Arzachel, e solo l'anno seguente, senza Hillage, il trio debutta come Egg nel disco omonimo pubblicato dalla Deram. Dietro l'umorismo dei titoli ("They laughed when I sat down at the piano"), la band inglese esprime una vena molto cerebrale incentrata sulle tastiere di Stewart, specie nell'ambiziosa "Symphony no. 2". In questa libera rielaborazione di spunti originali dovuti a Stravinsky e Grieg (ma il terzo movimento è inserito solo nella ristampa digitale) l'estro straripante del tastierista trova sponde eccellenti nel basso di Campbell e nella batteria di Brooks per articolare passaggi di ottima fattura, specie nel fluido "First movement", oltre alle più spigolose sonorità di "Blane". Improvvisazione e classicismo si fondono con bella personalità, senza i complessi e le approssimazioni di altri esperimenti simili: Bach è rivisitato in "Fugue in D minor", mentre "I will absorbed" e "While growing my hair" riescono a saldare il fraseggio jazzato del trio alla melodia attraverso la bella voce di Campbell. Notevole infine la tensione ritmica di "The song of McGillicudie the pusillanimous", con divagazioni organistiche piuttosto acide. Ben accolti dalla critica, nonostante le scarse vendite, i tre arrivano nel 1971 al secondo disco, "The Polite Force"(): quattro composizioni che portano avanti con coerenza il discorso musicale dell'esordio. L'attacco di "A visit to Newport Hospital" è cupo e incombente, ma irrorato dalle incursioni dell'organo, mentre "Contrasong" è appunto una contro-canzone in tempi dispari molto intrigante, con l'apporto di una sezione fiati. "Boilk" dilata uno scherzo del primo disco in una traccia sperimentale di effetti speciali e suggestioni d'avanguardia, sempre con un tema di Bach all'origine. La sterminata "Long piece no. 3" è ancora una pagina molto complessa, ideale seguito della "Symphony no. 2": in quattro parti, due a struttura ritmica e due a struttura armonica, rappresenta il punto più alto di una ricerca musicale condotta dal gruppo con appassionato rigore. Dopo un primo scioglimento, gli Egg si ritroveranno nel 1973 per l'ultimo disco, "Civil Surface". CD a cura di Eclectic Discs.

"The Polite Force"

  Eiliff   - Formazione tedesca che prende corpo a Colonia nel 1970 e realizza due dischi di alto livello, oggi molto considerati tra gli appassionati del cosiddetto Krautrock, seppure di nessun successo all'epoca. Il primo è un omonimo () pubblicato dalla Philips nel 1971: il quintetto suona una musica prevalentemente strumentale, e può vantare un chitarrista eccelso come Houschäng Nejadépour (poi con i Guru Guru), oltre al valido sassofonista Herbert J. Kalveram. Su questo binomio si regge il prog eclettico degli Eiliff, che nei momenti migliori può ricordare i VDGG, ma anche un certo jazz-rock inglese, con ampi spazi di improvvisazione che rendono avvincente la sequenza. Ad esempio "Uzzek of Rigel IV", dove il sax e la chitarra solista sono protagonisti di spunti imprevedibili, ben assecondati dalla batteria marziale di Detlef Landmann e dalle tastiere. Nell'apertura di "Bird-Night of the Seventh Day", con parti vocali del bassista inglese Bill Brown, il vivace fraseggio all'organo di Rainer Brüninghaus si fa notare nell'impasto sempre saturo, tra la chitarra e le staffilate del sax, mentre "Gammeloni" richiama da vicino i maestri di Canterbury, con piano elettrico e sassofono lanciati in una ficcante scorribanda ben supportata dalla batteria, fino al torrido finale che esalta di nuovo la chitarra solista. Di grande presa è la sterminata "Suite", che sprigiona tutto il potenziale sonoro della band, tra ritmi vorticosi e impennate dei solisti, con l'organo bollente di Brüninghaus che a tratti prende per mano i compagni: è una jam trascinante, con qualche nota eccentrica come il sitar suonato da Nejadépour. Lo stesso anno esce pure il singolo "Ride On Big Brother"/"Day Of Sun", ma il seguito commerciale resta scarso. Nel 1972 il medesimo quintetto realizza quindi il secondo album "Girlrls!", con una copertina che non passa certo inosservata. Le cinque tracce mostrano la stessa verve dell'esordio, come si vede dall'incipit indiavolato di "Eve of Eternity", costruito sull'organo e una sezione ritmica tiratissima, tra brevi intervalli atmosferici, ma nella sequenza si avverte qualche sapore più psichedelico. E' il caso di "King of the Frogs" soprattutto, con parti vocali e momenti più rarefatti, mentre "Journey to the Ego" è un magnifico jazz-rock aperto, che parte in sordina e cresce sul sax e il piano, tra splendidi picchi di chitarra e il basso sempre incisivo. Il duo ritmico scandisce a dovere anche la title-track, col pianoforte dinamico di Brüninghaus protagonista per tutto il brano. Più oscuro l'epilogo di "Hallimasch", con una voce declamante prima e poi un cupo rock dove la chitarra graffiante torna protagonista, ma bisogna sottolineare che la musica firmata Eiliff è sempre di grande interesse e mai banale, anche se il pubblico non se ne accorge. L'abbandono del tastierista nel 1973 incrina gli equilibri, e nei secondi Settanta il solo batterista Landmann continua a suonare con altri elementi fino allo scioglimento. Sono poi usciti postumi due dischi live come "Close Encounters With Their Third One" (1999) e quindi "Bremen 1972" nel 2002. Ristampe in CD (World Wide) e vinile (Long Hair).

"Eiliff"

"Uzzek of Rigel IV"

  Ekseption   - Il caso più rinomato, ma non il migliore, di contaminazione tra pop-rock e musica colta. Olandesi di Haarlem, gli Ekseption prendono corpo nel 1966 quando il virtuoso tastierista Rick van der Linden si unisce al trombettista Rein van den Broek e compagni, ma solo nel 1969 l'enorme successo del singolo "The 5th", rilettura della Quinta Sinfonia di Beethoven, traina in classifica il primo album omonimo uscito lo stesso anno. E' una sequenza strumentale che, tra lo scandalo dei puristi, adatta il repertorio classico in chiave pop, senza complessi: da Bach a De Falla, passando per Khatchaturian ("Sabre Dance") e Gershwin, Beethoven e Saint-Saens, il sestetto mescola con leggerezza spunti jazz, sinfonismi e fughe d'organo. Fanno eccezione "Dharma", frizzante cover dei Jethro Tull, e la sincopata "Little x plus", entrambe con il flauto di Rob Kruisman in evidenza, insieme alla tromba di Van den Broek. Il tastierista si destreggia abilmente tra piano e organo, come in "Air" (da Bach), ma oggi l'insieme suona datato, seppure gradevole. I dischi successivi sfruttano la formula con poche varianti: ad esempio il secondo,"Beggar Julia's Time Trip" (1970), è un concept solo parzialmente ispirato a Giulietta e Romeo, che introduce parti vocali per Michel van Dijk ("Julia" ad esempio) e l'attrice Linda van Dyck ("Prologue"). Tra gli autori rimaneggiati ci sono Albinoni (il celebre "Adagio"), Bach e Tchaikoskji, ma Van der Linden scrive anche pezzi come "Feelings", o la più varia "Pop Giant", mentre la duttile tromba di Van den Broek colora di morbido jazz le atmosfere classiche. Con il nuovo cantante Steve Allet, bravo in "Morning Rose" e nella più vigorosa "On Sunday they will kill the world" (da Rachmaninoff), gli olandesi realizzano lo stesso anno "Ekseption 3"(), un concept basato sul "Piccolo principe" di Saint-Exupéry. Vivace l'arrangiamento di "Rondo", da Beethoven, e interessante "Piece for symphonic and rock group in A minor", episodio originale con una prima parte squisitamente sinfonica (Passacaglia) e una seconda che vira verso un brioso jazz-rock (Painting), con piano, organo e fiati in primo piano. Il pezzo di apertura, "Peace Planet", ripresa della Suite n.2 in Si minore di Bach, è un nuovo singolo di successo in Olanda e tiene alte le quotazioni della band. Van der Linden può infine cimentarsi con una vera orchestra nell'album "Ekseption 00.04" (1971), nel quale il gruppo registra in studio sulle basi incise a Londra dalla Royal Philarmonic Orchestra. L'apice è la lunga "Piccadilly Sweet", dove classico, pop e jazz trovano una discreta fusione: oltre alle varie tastiere del leader spiccano la tromba di Van der Broek e il sax di Dick Remelink, ben integrati alle sonorità orchestrali. Il resto dell'album, tutto strumentale, è la consueta miscela di classiche riprese (anche Gounod in "Ave Maria"), brani per il Dutch Chamber Choir ("Choral") e brevi manifesti pop-jazz come "Monkey Dance", senza sorprese. "Ekseption 5", uscito nel 1972, offre dieci tracce strumentali che oltre all'onnipresente Bach ("Siciliano" e "Vivace"), e a Beethoven, citano anche Mozart ("A la Turka") e Keith Emerson ("For Example/For Sure"). Tra gli originali spiccano "Virginal", con la tromba protagonista, e poi "My Son", con la chitarra acustica che trova spazio tra fiati e tastiere. Il successivo "Trinity" (1973) si mantiene sui medesimi standards: buona tecnica, ma poca inventiva. Stavolta fa capolino anche Rimsky Korsakov ("'Flight of the bumble bee"), mentre "The Peruvian Flute" è un curioso traditional, con il flauto di Jan Vennik in un impasto sonoro fin troppo camaleontico. Subito dopo Rick van der Linden se ne va per fondare i Trace, mentre i compagni tirano avanti fino al 1978. Ristampe Mercury e Universal. Altre informazioni nel sito ufficiale.

"Ekseption 3"

  Electric Sandwich   - Un'altra formazione tedesca, formata a Bonn nel 1969 da studenti universitari e musicisti che vantano tutti precedenti esperienze nel contesto del beat germanico. Reclutato dalla rinomata Brain, il quartetto realizza nel 1972 il suo primo e unico disco omonimo (), oggi giustamente considerato tra i manifesti più rappresentativi del Krautrock. È musica aperta all' improvvisazione, fuori dagli schemi, che produce a volte un effetto ipnotico, con il sax del cantante Jochen Carthaus che affianca la chitarra solista e una ritmica che gioca quasi sempre la parte del leone. Tra le sette tracce della raccolta la più rinomata è proprio l'iniziale "China", una lunga galoppata psichedelica con la batteria ossessiva di Wolf Fabian costantemente in primo piano e la chitarra di Jörg Ohlert che si produce in lunghe scariche abrasive, distorsioni ed effetti vari, con forti richiami allo stile di Jimi Hendrix capaci di lasciare il segno. Il cantato in lingua inglese dello stesso Carthaus ha un timbro caldo e oscuro molto intrigante, ma il disco si segnala soprattutto per il potenziale ancora grezzo, ma efficace, delle parti strumentali: ad esempio il proto-metal di "Nervous Creek", guidato da una chitarra selvaggia in una serie ad effetto di pause e riprese, innervate anche dal sax. Chitarra e sax si spartiscono anche la sincopata "Material Darkness", intervallata da parentesi vocali dal fascino sinistro, con interventi di flauto, mellotron e basso nello schema sempre mobile e imprevedibile. Oltre alla vibrante "It's No Use To Run", con l'armonica a bocca che affianca la chitarra, tra gli episodi più incisivi si segnala "Devil's Dream", un nervoso rock che incede attraverso ripetuti riff chitarristici sotto la voce e la batteria che rilancia tra le staffilate petulanti del sax. "I Want You", tra i picchi della sequenza, ha invece un tema cantabile e avvolgente spezzato però da inserti travolgenti di sax e chitarra, con l'organo di sfondo nei momenti più saturi, mentre non manca neppure un omaggio molto personale alla cosiddetta musica del diavolo qual è appunto "Archie's Blues", ancora dominato da una chitarra in grande spolvero e con una buona prova vocale di Carthaus. Insomma, il disco trasmette ottime vibrazioni e resta l'esempio più genuino di un movimento come il Krautrock, che in generale ha sicuramente arricchito la stagione settantiana del progressive rock. Gli Electric Sandwich, dopo l'album, fanno ancora in tempo a realizzare un ultimo singolo nel 1975 ("Das liebe Bonn" / "Der Guillaume ist ein Spion"), prima di lasciare il campo, ma recentemente sono tornati attivi: notizie nel loro sito ufficiale. Le ristampe a cura di Repertoire e Hiatus includono due bonus-tracks.

"Electric Sandwich"

  Eloy   - Gli Eloy, il cui nome è tratto dal racconto "The Time Machine" di H.G. Wells, sono tra i gruppi più noti e longevi del rock sinfonico tedesco. Si formano ad Hannover nel 1969, su iniziativa del chitarrista Frank Bornemann, vero perno della band germanica tra continui alti e bassi. L'esordio avviene nel 1971 con un disco omonimo che inaugura un percorso piuttosto alterno e disuguale nelle scelte stilistiche. Dopo una prima fase in chiave hard rock, infatti, le cose cambiano un poco in "Inside"(1973), pieno però di influenze diverse, non sempre digerite a dovere: si passa dalla lunga "Land of No Body", con le sue tonalità marcatamente dark, a pezzi come "Future City" che ricalca fin troppo le atmosfere dei Jethro Tull. Nella stessa scia si colloca anche il successivo "Floating"(1974). Con l'uscita di "Power and the Passion", un concept-album pubblicato nel 1975, sembra prendere corpo uno stile diverso: compaiono ad esempio timide tracce di space rock ("Love Over Six Centuries"), con la chitarra di Bornemann più elegante del solito ("Mutiny"), anche se l'ispirazione rimane ancora molto varia. Tuttavia è solo dopo un radicale cambio in organico, con l'arrivo di Klaus-Peter Matziol al basso e Detley Schmidtchen alle tastiere, oltre al batterista Jürgen Rosenthal (ex-Scorpions), che gli Eloy fanno un primo salto di qualità a partire dall'album "Dawn" (1976). Bilanciato a dovere tra un hard rock sempre più versatile (la minisuite "Between the Times"), e momenti più atmosferici ("The Sun-Song"), con gli archi che affiancano spesso le tastiere ("LOST!?" e poi "Gliding Into Light and Knowledge"), il disco fa da vero spartiacque nella lunga parabola del gruppo. L'apice è probabilmente l'acclamato "Ocean"(1977), l'album prog tedesco più venduto di sempre. È un classico concept dedicato al mito di Atlantide (proprio come nell'omonimo disco dei Trip), composto di quattro lunghi brani indirizzati verso uno space rock dalle tinte visionarie, con la chitarra elettrica ad effetto del leader a duettare con le liquide tastiere di Schmidtchen, mentre le parti cantate in inglese dallo stesso Bornemann convincono meno, come nella chiusura di "Atlantis' Agony". Decisivo invece l'apporto alle trame strumentali del bassista Matziol, ad esempio in "Incarnation of the Logos", uno dei picchi della sequenza, tra breaks improvvisi e ficcanti riprese. Nell'insieme il quartetto dimostra di aver raggiunto un buon amalgama strumentale, come mostrano anche l'iniziale "Poseidon's Creation" e quindi la pulsante "Decay of the Logos", vivacizzata da un repentino cambio di tempo. Il periodo felice degli Eloy prosegue con "Silent Cries and Mighty Echoes" (1979), che pur con evidenti richiami ai Pink Floyd (l'attacco di "Astral Entrance"), consolida uno stile basato sul binomio tra un synth di grande effetto e la chitarra del leader, con il fattivo contributo del basso sempre creativo di Matziol: belle soprattutto "Master of Sensation" e l'evocativa suite "The Apocalypse", tra elettronica e suadenti voci femminili, fino alla bella title-track finale, scandita a dovere dal basso e chiusa da un synth maestoso. Tra gli altri lavori del gruppo, ancora attivo dopo un breve scioglimento negli Ottanta, e con un discreto numero di fans, si segnala il seguito di "Ocean": s'intitola appunto "Ocean 2: the Answer" (1998). Altre informazioni sono disponibili nel sito ufficiale.

"Ocean"

  Emtidi   - Formati a Berlino nel 1970, gli Emtidi sono in pratica un duo che include Maik Hirschfeldt (flauto, chitarre, voce) e la canadese Dolly Holmes (voce e tastiere). Già lo stesso anno viene pubblicato il primo album omonimo dall'etichetta Thorofon: è un folk-rock alla maniera delle contemporanee esperienze inglesi o americane, con l'intreccio delle due voci s'una base musicale prettamente acustica. Come si nota nell'iniziale "Lookin' for People", o anche in "Long Long Journey", la voce femminile è limpida al punto giusto per impreziosire una sequenza che per altri versi non porta elementi di novità ad un genere allora molto in voga: sono canzoni gradevoli, ma poco originali. Nella breve "No Turn Back", cantata da Hirschfeldt, si avverte chiaramente l'influsso di Bob Dylan, mentre qualche sapore psichedelico affiora comunque nei momenti strumentali come "Yvonne's Dream", e poi soprattutto nel lungo atto finale di "Flutepiece", nel quale, come da titolo, il flauto di Hirschfeldt domina la scena insieme alla chitarra all'insegna di un folk psichedelico piuttosto acido. Decisamente più elaborato suona il successivo "Saat" (cioè "seme"), pubblicato nel 1972 dalla Pilz. A parte "Love the Rain" e la bella title-track, con le voci intrecciate sull'arpeggio acustico, il folk molto lineare dell'esordio cede il posto a un prog-folk trasognato e più corposo, grazie a una strumentazione che include anche le tastiere (Dolly Holmes) più chitarra elettrica e synth (Maik Hirschfeldt), oltre all'apporto esterno di basso e percussioni. Tra le sei tracce spiccano un paio di lunghi episodi dove il nuovo corso degli Emtidi si palesa più evidente, ma anche l'iniziale "Walkin' in the Park", cantata a due voci con l'apporto di piano e chitarra elettrica, e la breve "Träume", con la delicata voce femminile sullo sfondo sospeso delle tastiere, danno il segno del cambiamento. Dei due brani più estesi, "Touch the Sun" sviluppa un'atmosfera intrigante sulle tastiere, tra pieni e vuoti, finché le due voci intonano la loro melodia con l'aiuto del pianoforte e il synth aggiunge spezie psichedeliche al finale. "Die Reise", più composito e fin troppo tumultuoso, è invece l'unico pezzo cantato in lingua tedesca da Hirschfeldt, sostenuto all'inizio da organo e pianoforte, oltre che dai vocalizzi femminili, prima che synth e organo si prendano la scena insieme al flauto. Il disco è più interessante del primo e ha dei buoni momenti, tuttavia non appare sempre omogeneo e risolto. In seguito, il duo si trasferisce a Monaco dove continua a suonare, ma senza realizzare altri dischi. Varie le ristampe in circolazione, anche in vinile.

"Saat"

  Eneide   - Una delle tante formazioni dimenticate del progressive italiano, gli Eneide nascono a Padova nel 1970 con il nome Eneide Pop, poi accorciato. Il lungo oblio che ha circondato questa band composta da giovanissimi è dovuto al fatto che il loro unico album, registrato nel 1972 per conto della Trident, ha visto la luce in realtà solo nel 1990, un po' come avvenne per il Buon Vecchio Charlie. In ogni caso, il quintetto veneto propone nel disco "Uomini umili popoli liberi" dieci tracce di fattura discreta, con le trame dell'organo di Carlo Barnini che convivono agilmente con le chitarre di Adriano Pegoraro e Gianluigi Cavaliere, autore di musica e liriche: niente di straordinario, ma il disco si fa ascoltare comunque con un certo interesse e il livello tecnico non scade mai. Il brano più lungo, "Non voglio catene", è paradigmatico di un certo prog dell'epoca: il testo infatti lascia ampio spazio alle lunghe variazioni delle tastiere, con ripetuti spunti della chitarra solista. In realtà i momenti più pacati, quasi intimisti a volte, sono forse più convincenti, come le due parti di "Cantico alle stelle", costruite sulla chitarra acustica e il flauto: nella prima traccia, per entrare nel merito, si ascoltano inserti di contrabbasso (Romeo Pegoraro) e pirotecnici fraseggi d'organo intorno a una trasognata voce solista. Altrove si fa largo uso del moog, come nel brioso strumentale "Ecce Omo", o si pende verso una sorta di dark rock un poco di maniera, mitigato dalle sonorità vivaci del flauto, con parti vocali grintose ma un po' forzate: è il caso de "Il male", soprattutto. Più interessante la title-track, col flauto ficcante di Adriano Pegoraro in primo piano tra i robusti riff di chitarra e il cantato supportato dal coro, e quindi il corollario sognante di "Viaggio cosmico", che riprende il tema in chiave più rarefatta, con le sonorità di chitarra e contrabbasso a cullare il canto delicato. Nella stessa scia scorrono anche episodi interessanti quali "Un mondo nuovo" e quindi il malinconico "Canto della rassegnazione", su toni crepuscolari, a testimonianza che l'anima vera del gruppo padovano sta proprio in questa dimensione più introspettiva e lirica, capace di uscire da un certo rock dalle formule più ovvie. Si tratta di un album dignitoso, che regala buone sensazioni, ma con una produzione vera e propria alle spalle dei giovani componenti avrebbe potuto essere decisamente migliore. La ristampa in cd a cura della AMS include anche due bonus-tracks destinate ad un nuovo progetto discografico, "Il sogno di Oblomov", che non ha mai visto la luce.

"Uomini umili popoli liberi"

  England   - Una band inglese ricordata soprattutto per un apprezzato album nei secondi Settanta. Seppure in netto ritardo sui modelli del rock progressivo sinfonico e romantico della prima ora, il gruppo che nel 1977 realizza "Garden Shed" () mostra un indubbio talento nel riproporre stilemi di un filone che ha nei Genesis i suoi maggiori esponenti. Il disco propone sei episodi suonati e arrangiati con gusto dal quartetto britannico, sotto la guida del tastierista Robert Webb: bello l'attacco di "Midnight Madness", con i poliritmi del batterista Jode Leigh e il cantato istrionico, spesso corale, ben incastonato nel vivace schema strumentale. E' una musica dinamica e fluida al tempo stesso, che alterna colorati spunti rock a parentesi più intimiste, come la breve "All Alone", per pianoforte e voce. In "Yellow", il mellotron e la chitarra acustica introducono una sognante atmosfera ideale per le morbide parti vocali, cullate anche da piano e basso, mentre "Paraffinalea" scorre più mossa e nervosa, con le ricche tastiere di Webb ancora in primo piano (synth e mellotron), ben coadiuvate dal lavoro certosino di Frank Holland alla chitarra in uno spartito molto inventivo dal punto di vista ritmico. Le due composizioni più estese dell'album, a cominciare da "Three Piece Suite", lasciano intravedere anche le influenze degli Yes, specialmente negli impasti vocali della prima parte: il ricco tessuto strumentale, con pianoforte e tastiere costantemente a comandare le operazioni, mostra comunque l'eccellente grado di preparazione del gruppo, con le note lunghe e tirate della chitarra solista in bella evidenza e il generoso apporto del bassista Martin Henderson nelle fasi di raccordo. Di colore più drammatico, la lunga "Poisoned Youth" è scandita ad arte dalla sezione ritmica sullo sfondo del mellotron: pause trasognate, delicati sinfonismi e sterzate ritmiche ad effetto ribadiscono il valore degli England e dell'album. Nel 1995 è stato pubblicato anche "The Last of the Jubblies", originariamente registrato nel 1976, mentre la band, riformata nel 2005, ha realizzato "Live in Japan-Kikimimi" (2006) e un EP come "The Imperial Hotel".

"Garden Shed"

  Epidaurus   - Come molti gruppi della scena teutonica del periodo, gli Epidaurus, formati a Bochum nel 1976, si muovono nella scia dei capiscuola inglesi del prog sinfonico, con l'aggiunta di una voce femminile delicata ma non eccelsa, come Christiane Wand, e anche qualche richiamo ai corrieri cosmici. Comunque sia, "Earthly Paradise", pubblicato nel 1977, è un disco che in cinque episodi rispetta i canoni del genere, con qualche piacevole sorpresa nello sviluppo dei temi strumentali. La presenza di ben due tastieristi (Gunter Henne e Gerd Linke) e l'assenza della chitarra, sbilancia il suono verso morbidi arrangiamenti dinamizzati però da un piglio ritmico che evita il pericolo di cadere in sonorità stucchevoli. Se le prime due tracce, "Actions and Reactions" e "Silas Marner", sfoderano un uso cospicuo di mellotron e synth a fare da cornice ideale alle sognanti armonie vocali della cantante, con apprezzabili spunti di flauto nel secondo brano, nei restanti episodi, interamente strumentali, si assiste a una formula più elaborata e vivace. "Wings of the Dove" ad esempio poggia s'una solida combinazione di organo e piano, ritmicamente sostenuti dalla batteria, con enfatiche variazioni del synth che riportano per successivi passaggi il pezzo al punto di partenza. "Mitternachtstraum", posta in coda all'album, è addirittura un'escursione spaziale che ricorda da vicino, e fin troppo, certe cose dei Tangerine Dream, mentre "Andas" mescola in maniera più personale suggestioni diverse: effetti elettronici e spunti di flauto si rincorrono in uno sviluppo di forte impronta ritmica, col basso di Heinz Kunert in buona evidenza, e il mellotron sempre di sfondo. In sostanza il disco è consigliato ai fans del prog sinfonico e romantico, anche se il gradevole risultato complessivo non nasconde qualche momento meno convincente. Scioltisi nel 1980, gli Epidaurus si sono poi riuniti per realizzare "... endangered" nel 1994.

"Earthly Paradise"

  Epsilon   - Originari di Marburg, e oggi dimenticati, gli Epsilon sono una band anomala nell'ambito del krautrock. Formato nel 1970, il quartetto tedesco realizza un primo 45 giri lo stesso anno e quindi l'album omonimo () pubblicato dalla Bacillus nel 1971. Sette tracce con l'organo di Walter Ortel in evidenza insieme alla buona voce solista di Michael Winzkowski, in precedenza con Orange Peel e Nosferatu: lo si vede già nell'attacco di "Two-2-II", una pulsione ossessiva e piuttosto ipnotica innervata dalla chitarra elettrica del cantante. In alcuni momenti la band germanica richiama le sonorità del prog inglese di quegli anni, ad esempio nella raffinata "Before", con il fraseggio organistico piuttosto vicino ai Cressida. Nello stesso solco anche la lunga "2-Four-4", tra i momenti migliori, che alterna lunghe tirate di chitarra e organo a pause atmosferiche dominate dalle parti vocali in inglese, con belle ripartenze e accattivanti cambi di tempo. "Between Midnight" è una breve canzone dalle morbide inflessioni soul, così come "Everyday's Pain" un vibrante hard rock senza pause, ma a stupire davvero è "Paint it Black or White", stravolta versione del celebre pezzo firmato dai Rolling Stones, con un lungo e inopinato inserto classicheggiante dell'organo e un torrido finale chitarristico. Nel secondo album "Move On", realizzato nel 1972 dal medesimo organico, il quartetto sembra virare verso un rock più canonico, fitto di citazioni e rimandi, suonato comunque con identica padronanza. Si segnala soprattutto la ripresa di "She Belongs To Me", di Bob Dylan, che diventa una frizzante miscela di hard prog con stacchi trascinanti e brillanti fraseggi d'organo, oltre alla voce sempre incisiva di Winzkowski. Tra gli altri pezzi spicca "Reichelsheim", un caldo e avvincente hard prog che nell'impasto vocale richiama la lezione dei Family, mentre la title-track scorre sui binari di un rock duro fin troppo ortodosso, come la stessa "Walking' On My Way" posta in apertura. Oltre al potente "Waiting", un dark prog con lunghe variazioni guidate da basso e batteria, con una chitarra frenetica, non manca neppure una spruzzata folk-rock, in due tracce come "Feelings", dominata dal flauto, e la finale "Don't Know Why", che in realtà include anche curiose divagazioni per organo e pianoforte. In seguito, con l'uscita del tastierista e l'innesto di due nuovi elementi, la band realizza l'ultimo disco nel 1974: "Epsilon Off". E' un rock sempre più melodico con la chitarra padrona assoluta, un po' di pianoforte, e la voce di Winzkowski sempre convincente in un contesto che oscilla tra blues, folk e hard rock. Belle comunque "I've Been Moving", la tiratissima "Let's Sit Down" e la più umbratile "I Know Now". Gli Epsilon, che si disperdono nel 1976 dopo due singoli, restano un gruppo di eccellente caratura tecnica e buone intuizioni, anche se forse troppo eclettici nelle loro proposte musicali. CD Bacillus e Germanofon.

"Epsilon"

  Era Di Acquario   - È un gruppo minore che arriva dalla Sicilia (Palermo), e dopo due singoli come "Geraldine"/"Arabesque", che partecipa anche al Disco per l'Estate, e "Hold On"/"Campagne siciliane", entrambi usciti nel 1972, realizza l'anno seguente il suo unico album "Antologia" per la RCA. Con il nuovo flautista Angelo Giordano, che ha rilevato Gianni Garofalo, il terzetto palermitano (voce/chitarra/basso, batteria, flauto/sax) fa a meno delle tastiere e sfoggia perciò una vena piuttosto delicata, decisamente melodica, con liriche nella stessa scia. L'atmosfera generale del disco, che dura meno di mezz'ora ed è decisamente lontano dai complessi contenuti del rock progressivo più famoso, è naive ma non banale, contraddistinta da un lodevole tentativo di mescolare le radici mediterranee che affiorano in brani come "Idda", cantata in dialetto siciliano, e quindi "Statale 113", dove compare il tradizionale scacciapensieri, con momenti d'ispirazione più varia, mai troppo complessi nella scrittura. In realtà, "Padre mio", valorizzata dal flauto di Giordano, e la stessa "Geraldine", stavolta con la chitarra elettrica al proscenio insieme al falsetto vocale, suonano come due isole roccheggianti in un paesaggio sonoro per il resto sempre molto tranquillo e solare, con il flauto e le chitarre acustiche di Michele Seffer costantemente in primo piano, soprattutto negli episodi strumentali: è il caso dell'iniziale "Campagne siciliane" e poi di "Vento d'Africa", con spirali flautistiche e largo uso delle percussioni di Pippo Cataldo. In una sequenza prevalentemente strumentale, si fa notare il testo particolarmente amaro de "L'indifferenza", sulle realtà più marginali condannate all'oblio. La discreta attività live della band, presente tra l'altro al Davoli Pop, e poi a Villa Pamphili e Caracalla, fino al Pop Meeting del Piper nel 1974, non evita comunque lo scioglimento, nonostante ci fosse un secondo album già pronto che purtroppo non ha mai visto la luce. La brevità e la spiccata tendenza alla sintesi degli Era Di Acquario, quando imperavano invece suites sinfoniche e progetti concettuali molto più ponderosi, è oggi un punto a loro favore e li rende, se non altro, piacevoli all'ascolto. Il cantante e chitarrista Michele Seffer, scomparso nel 2006, oltre ad aver composto e arrangiato per diversi musicisti italiani, ha pure realizzato tre singoli con il gruppo Babylonia a metà degli anni Settanta.

"Antologia"

  Ergo Sum   - Una delle band francesi più sottovalutate e invece davvero accattivante nella sua proposta musicale. Originari di Aix-en-Provence, si formano nel 1968 con il primo nome di Lemon Pie, su iniziativa del cantante Lionel Ledissez, tornato in Francia nel 1966 dopo aver vissuto in Messico. La band si evolve quindi suonando blues-rock, cambia la sigla in Ergo Sum e nel '71 il singolo "All's so comic" è incluso nell'album collettivo "Puissance 13+2" della Thélème, insieme a brani inediti di altre band, tra le quali i Magma. L'esordio in proprio del gruppo arriva alla fine dello stesso anno: "Mexico" (1971) è un album piuttosto anomalo nel contesto transalpino. Il sestetto che lo incide (tastiere/flauto, chitarre, basso, violino, batteria e voce solista) si avvicina molto più a certe sonorità del folk/blues/rock inglese che al modello sinfonico allora dominante, in una bella chiave fusion che include anche intriganti spezie psichedeliche, un poco sul modello dei Family, ma con discreta personalità. Proprio questa scelta stilistica produce una sequenza ancora oggi godibile, a tratti sorprendente, che dispensa eleganti ballate, delicate parentesi acustiche ("Lydie"), e roventi blues in ugual misura, senza un solo attimo di noia. Gli episodi in scaletta sono perlopiù interpretati dalla voce ruvida e appassionata dello stesso Ledissez, che scrive quasi tutte le liriche, e offrono quasi sempre seducenti impasti strumentali con il violino di Roland Meynet in evidenza, oltre a flauto e chitarre, con la presenza più discreta delle tastiere di Jean Guerin, impegnato soprattutto al piano elettrico, e il basso di Max Touat (principale autore delle musiche) spesso protagonista delle trame. Oltre alla ruggente "Night Road", caratterizzata anche dal moog, e alla sofisticata atmosfera folk-jazz di "Albion Impressions", sono bellissimi soprattutto i due brani più lunghi: prima "I Know your Mother", lenta e nostalgica, con un prezioso tessuto strumentale di violino e flauto attorno al canto solista, e poi "Faces", con un'intro acustica superba ed evocativa e nel finale l'ottima chitarra solista di Michel Leonardi che sale in cattedra. Il disco alla fine è veramente un piccolo gioiello della scena transalpina, che nella ristampa a cura della Musea è arricchito da tre bonus-tracks, come i due pezzi del singolo "Tijuana / It's Me", realizzato nel 1972 da una diversa formazione che include tra gli altri il chitarrista Marc Perru, ex Cruciferius.

"Mexico"

  Erlkoenig   - Tedeschi originari di Helmstedt (Bassa Sassonia), dove si formano all'inizio del 1972 come trio, gli Erlkoenig prendono il nome dal famoso poema omonimo di Goethe, tradotto in italiano come "Il re degli elfi". Guidato dal tastierista Eckhardt Freynik, e stabilizzato col chitarrista Friedrich Krüger, il quartetto registra le sei tracce dell'album omonimo (1973) in un negozio di pianoforti a Brunswick: il disco fu poi autoprodotto in circa mille esemplari e venduto in gran parte durante i concerti. E' un album dalle molte influenze, come era tipico del Krautrock dei primi anni Settanta, e in verità non sempre calibrate a dovere, tuttavia non si può negare che nella sequenza il quartetto riesca a farsi valere in diversi momenti. Fin dall'attacco di "Erlkoenig Impression" l'organo di Freynik assume il comando delle operazioni ben affiancato dalla chitarra di Krüger, in un tessuto musicale piuttosto dinamico che include lunghi fraseggi, cambi di tempo e riprese che fanno emergere il classicismo del tastierista nelle parti di pianoforte. Di buona presa è la lunga "Thoughts", con le trame organistiche supportate dalla vivace sezione ritmica, il piano ancora incisivo, e una seconda parte più frastagliata e ricca di breaks, con la ficcante chitarra elettrica che sale in cattedra. Molto atmosferico è invece un brano come "Castrop-Rauxel", anche se le parti vocali del batterista Michael Brandes lasciano un po' a desiderare: l'organo trova comunque sonorità più evocative, ben affiancato dal pianoforte e dal basso. Proprio il basso di Günter Armbrecht apre "Blind Alley", tra i momenti più dinamici della sequenza: qui la chitarra solista di Krüger è protagonista con suoni distorti ad arte in lunghe tirate, mentre l'organo stavolta resta di sfondo e solo nel finale sale al proscenio. Se "Tomorrow" è ancora dominato da un organo quasi liturgico intorno al canto solista, con inserti percussivi quasi tribali nel mezzo e un pianoforte quasi barocco in aggiunta, l'epilogo di "Divertimento" è uno dei pezzi più curiosi: nella prima parte il pianoforte elegante di Freynik si destreggia benissimo tra richiami classici e morbido jazz, mentre il seguito si apre ai suoni rarefatti della chitarra in uno schema sospeso e imprevedibile. La registrazione non proprio impeccabile lascia in ombra purtroppo le raffinate combinazioni di piano e basso, poi affiancati dalla chitarra, ma l'insieme è sicuramente interessante. Il gruppo continuò a esibirsi dal vivo, ma si sciolse infine nel 1977. Le ristampe Garden Of Delights (CD) e Amber Soundroom (vinile) includono bonus-tracks.

"Erlkoenig"

  Errata Corrige   - Nato come trio nel 1974, questo gruppo di Torino produce inizialmente due cassette e solo più tardi, stabilizzatosi come quartetto in seguito all'arrivo del chitarrista Mike Abate, realizza l'album "Siegfried, il drago e altre storie" (1976), autoprodotto in circa cinquecento esemplari. La band piemontese rivela una forte affinità per il rock favolistico e romantico, nutrito in questo caso di colte leggende medioevali rielaborate. Contrariamente ad altre esperienze consimili, però, i toni acustici e quasi naive, anche nelle liriche, prevalgono spesso sulle forzature barocche e gli arrangiamenti troppo magniloquenti. La musica è dominata dunque dalle chitarre acustiche di Abate, e dal pianoforte, il flauto e il violoncello di Marco Cimino, mentre le delicate parti vocali sono piuttosto gradevoli, anche se non sempre calibrate a dovere. Con tutte le incertezze di ogni opera prima, è un disco che sa offrire belle sensazioni e un risultato complessivo discreto. Quella di Cimino e compagni è infatti un'ispirazione elegante, trasognata ma insieme sufficientemente varia nel suo sviluppo, tra vigorosi cambi di tempo e improvvise aperture sulle tastiere che rifuggono il rischio di stilizzare eccessivamente il disegno sonoro. In particolare, l'intrigante minisuite in cinque tempi "Del Cavaliere Citadel e del drago della Foresta di Lucanor", nella sua dimensione largamente acustica, è davvero tipica di un certo immaginario medioevale, mentre le due parti di "Siegfried", Leggenda e Mito, sono caratterizzate da tonalità più epiche e soluzioni ad effetto, con la chitarra solista e la dinamica batteria di Guido Giovine in buona evidenza. Gli Errata Corrige meritavano insomma più fortuna, o almeno una prova d'appello, ma solo nel 1992 verrà pubblicato l'album postumo "Mappamondo", composto da registrazioni del periodo 1974-'77 che spaziano tra progressive, jazz-rock e pop commerciale. Allo scioglimento, il più attivo rimane Marco Cimino, prima con il gruppo Esagono ("Vicolo",1976), quindi con gli Arti & Mestieri e anche con Venegoni & Co. Ristampe su CD a cura di Vinyl Magic, con bonus-tracks aggiunte, e Mellow Records.

"Siegfried, il drago e altre storie"

  Esperanto   - Una pregevole formazione belga, fondata nel 1971 a Bruxelles dal violinista Raymond Vincent (ex-Wallace Collection) insieme al tastierista Bruno Libert. Reclutati altri elementi, come i due fratelli Gino e Tony Malisan (di origine italiana), la band registra il 45 giri "Busy Doing Nothing / Gypsy" nel 1973, quindi si isola per realizzare il primo album. Pubblicato nel 1973 da A&M "Esperanto Rock Orchestra" è sicuramente un ambizioso esempio di musica trasversale, capace di abbinare rock melodico e musica da camera, sinfonismo e tocchi di fusion e psichedelia abilmente miscelati. Accanto alle voci femminili spesso in primo piano, spicca nelle trame il violino eclettico e sopra le righe di Vincent: ad esempio in "Gipsy" o nell'attacco della poliedrica "On Down the Road". Non mancano frizzanti rock di taglio americano ("Statue of Liberty") e brani senza confini, come "City", con l'organo di Libert, le voci corali e il violino sempre in grande spolvero. Un esordio brillante, ricchissimo di spunti, anche se forse non sempre calibrato a dovere. Il secondo disco della band è "Danse Macabre" (), realizzato nel 1974: a produrlo è Peter Sinfield (il paroliere dei King Crimson) e anche la sua presenza, insieme al nuovo cantante inglese Keith Christmas, sembra indirizzare la musica verso un prog più compatto, mai banale, con un pronunciato alone di mistero che intriga, come nella fascinosa melodia di "The Castle". A parte la title-track di chiusura, che cita espressamente il poema sinfonico di Camille Saint-Saëns, è soprattutto un brano spiritato come "Duel", col violino dissonante in uno spartito mobilissimo, tra vocalizzi femminili e continue riprese sugli archi del tema principale, a catturare la tensione che si respira anche nella magnifica apertura di "The Journey": un pezzo frantumato ad arte e innervato dal gioco combinato tra il violino e l'organo, con fascinosi inserti di un pianoforte classicheggiante incalzato dalle percussioni di Tony Malisan. Suggestiva anche l'atmosfera di "The Cloister", con l'organo e il violino protagonisti, e poi "The Prisoner", con echi dei Gentle Giant più sperimentali, con archi, clavicembalo e tastiere varie al proscenio insieme al duttile canto solista: è musica sperimentale, evocativa, sempre colta e originale. Con due nuove voci come Roger Meakin e Kim Moore al posto di Christmas, la band realizza il suo terzo e ultimo album nel 1975: "Last Tango" è per alcuni il picco degli Esperanto, anche se il precedente suona decisamente più originale in un'ottica prog. Davvero travolgente e non convenzionale, in ogni caso, la cover della beatlesiana "Eleanor Rigby", col violino di Vincent mattatore insieme all'organo, e frastagliato il tessuto sonoro della lunga "The Rape", tra synth e archi in evidenza, oltre alle due voci. Detto che il disco è ben suonato e offre momenti di valore, si nota qualche ammiccamento al pop più rifinito, come "Obsession", cantata dal solo Roger Meakin col suo timbro quasi androgino, o anche "Painted Lady". Il successo commerciale stavolta è notevole, ma per varie ragioni la A&M non rinnova il contratto alla band che si scioglie. Da segnalare la ristampa in un solo CD del secondo e terzo album da parte di Second Harvest.

"Danse Macabre"

  Espíritu   - Una delle più note formazioni argentine, gli Espíritu sono la diretta filiazione di un gruppo beat chiamato Onda Corta, fondato da Osvaldo Favrot (chitarra e voce) nel 1968. Nel 1973, dopo varie traversie, si opta infine per la nuova sigla e il quintetto realizza prima un singolo nel 1974 e quindi il primo ellepì, con l'arrivo alle tastiere di Gustavo Fedel. "Crisalida" (1975) è un concept-album circondato subito da molte aspettative dopo le prime e pirotecniche esibizioni live: consta di otto episodi dominati dal ricco parco-tastiere di Fedel, supportato però dall'estro di un chitarrista molto efficace come Favrot, in un insieme raffinato e molto melodico. Le delicate parti vocali di Fernando Bergè sono spesso affiancate dai cori, come nell'iniziale "La casa de la mente", secondo uno schema molto latino, a volte un poco stucchevole nello sviluppo dei singoli temi: ad esempio in "Sabios de vida", dove il rock e la melodia mancano di una convincente fusione. Il livello tecnico dei cinque è comunque molto buono, e il disco offre spunti notevoli, come il rock dissonante di "Eterna evidencia", dominato dal synth, o anche "Sueños blancos, ideas negras", dall'incedere rarefatto intervallato da improvvise accelerazioni. Buona anche la chiusura di "Hay un mundo luminoso", con la chitarra solista protagonista assieme alle tastiere e il fattivo apporto del bassista Claudio Martinez. A questo punto Fedel abbandona la band, rilevato dal tastierista Ciro Fogliatta: con lui gli Espíritu realizzano il secondo album, "Libre y natural" (1976), costruito intorno a una nuova suite concettuale. La formula è simile, ma il risultato più brillante: un prog sinfonico con ampie parentesi melodiche (ad esempio la title track), gradevole e più grintoso rispetto all'esordio. Dopo la breve e frizzante "Obertura del desierto luminoso" l'album prende quota: in "Imagenes tenues y trasparentes" il gruppo trova accenti quasi fusion, specie nel finale con un gran lavoro di chitarra e batteria, mentre "La fabrica de sueños" mostra un bell'esempio di raggiunta maturità, con le parti vocali finalmente ben integrate nel contesto di un rock tecnicamente pregevole. Il momento più efficace del disco è però "Deselectriza tu mente", una sequenza vibrante che lascia emergere l'organo e il synth di Fogliatta accanto a una vivace sezione ritmica che rilancia continuamente i temi. Disaccordi interni mandano in pezzi il gruppo, ma nel 1982 i soli Bergè e Favrot riprendono in mano il progetto con altri musicisti, realizzando dischi come "Espíritu" (1982) e "En movimiento" (1983) tra gli altri. Tutte le informazioni nel blog del gruppo.

"Libre y natural"

  Tony Esposito   - Prima di riciclarsi come autore di gradevoli atmosfere esotiche, il percussionista Antonio "Tony" Esposito (n.1950) è stato un vivace protagonista della scena alternativa italiana. Al suo attivo, oltre a moltissime collaborazioni con artisti del giro partenopeo quali Edoardo Bennato, Alan Sorrenti o Saint Just, e anche Pino Daniele più avanti, vanno ricordati almeno i primi due album da solista: "Rosso napoletano"(1974) e "Processione sul mare"(1976). Nel disco d'esordio, in particolare, Esposito è alle prese con un caldo jazz davvero intrigante, dai tratti quasi ipnotici, nel quale pulsa continuamente l'atmosfera di Napoli. Oltre alle sue svariate percussioni, che colorano l'intera sequenza, si segnala l'apporto di talentuosi musicisti come Robert Fix (sax) e Mark Harris (tastiere) a garantire la qualità di un sound generoso e pieno di umori, che spazia tra folk-jazz mediterraneo, spunti funky e sonorità più aperte. Tra i brani sono da citare soprattutto la lunga e seducente title-track, che cresce e si ramifica in maniera avvolgente, e poi "Il venditore di elastici", dove Esposito suona abilmente anche le pentole da cucina. Baciato subito da una certa popolarità e da buoni responsi critici, il percussionista vive un periodo intenso: partecipa tra l'altro fattivamente all'incisione de "La valle dei templi", noto disco del Perigeo. Nel suo secondo lavoro solista, "Processione sul mare", ancora suonato con Robert Fix e altri validi musicisti come il tastierista Stefano Sabatini (ex-Kaleidon e Samadhi), Francesco Bruno (chitarre) e Gigi De Rienzo (basso), il percussionista inanella altre otto tracce di qualità, più brevi e compatte rispetto all'esordio, sempre in bilico tra atmosfere world, funky e spunti ambientali di presa più immediata: l'iniziale "Mercato di stracci" (con effetti vocali di Lina Sastri), la delicata "Fiaba moresca" e quindi la title-track finale sono tra i momenti migliori del disco. Poi, dopo altri album come "Gente distratta" (1977) e "La banda del sole" (1978), ed entrando nei problematici anni Ottanta, davvero fatali per molti protagonisti del decennio precedente, Esposito tende a semplificare gradualmente la sua musica, sempre più melodica, pur senza perdere mai la curiosità per le sonorità etniche, soprattutto quelle del sud del mondo. Negli anni Novanta, ancora attivissimo, si esibisce infatti all'estero in festival importanti come L'Avana e Rio De Janeiro, e compone anche colonne sonore: tra l'altro, vince il Nastro d'Argento per la musica del film "Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti" di Lina Wertmüller (1986).

"Rosso Napoletano"

  Estructura   - Un gruppo venezuelano, originario di Maracay, formato nel 1977 e responsabile di due soli dischi. Con un corposo organico di sette elementi, la band realizza il suo album d'esordio nel 1978: "Más allá de tu mente" () è uno dei primi e apprezzati esempi di prog realizzati in Venezuela. Si tratta di un viaggio fantastico e allegorico, dichiaratamente ispirato a certi progetti di Rick Wakeman, ma con uno sviluppo musicale meno pomposo, e stilisticamente più variegato. La prima parte, a cominciare da "En su busca", offre un esempio di vivace rock sinfonico, con inserti fusion dominati dal synth di David Mamán: il tastierista si destreggia abilmente al piano classico ed elettrico, ben assecondato dalle due chitarre, ritmica e solista. Nelle belle armonie vocali che punteggiano il racconto si segnala soprattutto il timbro accattivante di Marisela Pérez, spesso affiancata dal coro dei compagni, e nonostante il periodico inserto di una voce narrante, che oggi suona un po' datata, la sequenza si mantiene sempre interessante, divisa tra ficcanti breaks chitarristici di Antonio Rassi ("Confusion"), spunti jazzati e atmosfere sognanti ("Como un sueño"). María Ciliberto, che tra l'altro firma tutte le liriche, offre un delicato intermezzo di chitarra classica, supportata a dovere dalle tastiere liquide di Mamán, in "Sueños". La seconda parte si apre con la barocca atmosfera di "Su presencia", punteggiata da soli chitarristici e da un coro maestoso nel momento forse più ambizioso dal punto di vista strumentale. Tra delicate parti vocali ("Un niño") e incalzanti intermezzi rock dominati dalla chitarra solista e dal piano ("El regreso"), il viaggio sonoro si chiude quindi con la melodia ariosa di "El mensaje a nuestra humanidad", seguita da una corposa coda strumentale come "La llegada". A volte ingenuo, ma sempre gradevole, è un album che si ascolta con piacere fino in fondo. Carino anche il secondo disco, un omonimo pubblicato nel 1980 con l'organico ridotto a sei. Meno impegnativo del precedente, dimostra comunque la discreta caratura del gruppo sudamericano in otto tracce di pop-rock generalmente più melodico, ma con qualche impennata particolarmente ambiziosa: è il caso soprattutto di "Mar vestido de mujer". Sempre bella la voce di Marisela Pérez in episodi come "Arco Iris" e la più trasognata "Quisiera", mentre Mamán domina con piano e synth lo strumentale "Blanco y Negro", e "Krakatoa" è un sanguigno episodio rock che esalta la chitarra solista di Antonio Rassi. Sciolta la band, Marisela Pérez rimane ancora attiva durante gli anni Ottanta.

"Más allá de tu mente"

  Etna   - Non sono che i Flea con una nuova sigla, che sembra voler rimarcare le origini siciliane della band. A parte tutto, questa volta il quartetto si propone nel 1975 con un album omonimo () interamente strumentale e decisamente orientato verso un jazz-rock molto mediterraneo e solare, che abbina un tessuto ritmico incalzante a pause più meditative. Dopo il brioso attacco di "Beneath the Geyser", guidato a dovere dal piano elettrico di Antonio Marangolo, si segnala "Across the Indian Ocean", con basso e batteria sugli scudi e la chitarra elettrica vivacissima all'interno dello schema, ma il gruppo è anche capace di creare atmosfere più morbide e sofisticate, che denotano la maturità del suono e un'amalgama di prim'ordine, finalmente raggiunto dopo anni di esperienze sul campo. Lo si nota soprattutto nel caso di "French Picadores", un brano dove la chitarra acustica di Carlo Pennisi sale in primo piano insieme al mandolino in un clima davvero evocativo, pieno di risonanze e sfumature preziose. Nell'episodio più lungo del disco, i nove minuti di "Golden Idol", la band dimostra di saper armonizzare le varie anime del progetto con elegante scioltezza e soprattutto notevole affiatamento. Ancora interessante l'utilizzo del mandolino da parte di Pennisi nella più rarefatta "Barbarian Serenade", posta in coda: qui il pianoforte richiama suggestioni napoletane, poi valorizzate da un sobrio crescendo sulle corde del mandolino, in quello che forse rimane il momento più personale dell'intera sequenza. In generale, si tratta di un album di eccellente livello tecnico, aperto a influssi stilistici diversi, come un certo funky che affiora ad esempio in "South East Wind", tra i riff vorticosi della chitarra solista sul tappeto mobilissimo di un'eclettica sezione ritmica . Anche stavolta, però, nessuna fortuna commerciale arride ai quattro musicisti che proseguono singolarmente la propria attività musicale. In particolare Agostino Marangolo, ricercato turnista, ha suonato a lungo con i Goblin. Ristampa in CD a cura di Mellow Records.

"Etna"

  Ex Vitae   - Poco si sa, ancora oggi, di questo misterioso gruppo francese originario di Limoges, capoluogo dell'ex Limosino e oggi Nuova Aquitania, responsabile di un solo e apprezzato album autoprodotto: si tratta di "Mandarine" (), pubblicato nel 1978. La band è un settetto che sa indubbiamente il fatto suo e si destreggia con gusto e buona personalità nei quattro brani della sequenza, esclusivamente strumentali a parte pochi vocalizzi sparsi, improntati ad un'eclettica mistura di prog, jazz e avanguardia. Molto bello l'attacco di "Vice Versa", con l'intreccio quasi cameristico di chitarra acustica, basso e pianoforte sul quale, dopo un vivace inserto di synth, svetta con autorità il sax di Jean-Loup Marlaud, uno dei veri protagonisti del disco. Nella traccia più lunga e sperimentale del disco, "Saxophonie", il settetto transalpino osa soluzioni più audaci e fuori dagli schemi: prima il clarinetto e quindi il sassofono sono i primattori di questa lunga jam inizialmente rarefatta, che vive anche sul pianoforte di Renè-Marc Bini e sulla raffinata tecnica del chitarrista Jacques Lars, finché la temperatura sale di tono sull'impeccabile sezione ritmica, tra i picchi esasperati del sax e del violino di Alain Labarsouque. La band transalpina regala qui momenti di free jazz davvero notevole, anche se il resto dell'album segue invece un percorso più compassato che a tratti sembra crogiolarsi in un'atmosfera indolente quanto preziosa. E' il caso della stessa title-track, che dopo un pianoforte ostinato in apertura vede salire in cattedra il flauto, mentre la chitarra e il piano elettrico ricamano un jazz accattivante dai ritmi ipnotici, e il sax di Marlaud insieme alla chitarra cristallizza un refrain seducente fino all'epilogo. Il ruolo fondamentale del basso elettrico di Jean Lars si evidenzia particolarmente in "Gavarnie", episodio vagamente ossessivo dove il sax e la chitarra si fanno notare per l'eleganza di un fraseggio abilmente combinato, e quando poi la musica sembra spegnersi, l'arpeggio chitarristico e il piano elettrico guidano un ultimo ritorno di fiamma, ancora col supporto decisivo del bassista. La peculiare cifra stilistica degli Ex Vitae risiede proprio in questa capacità di articolare trame a schema libero che catturano l'ascoltatore in flemmatiche spirali di jazz cesellato con classe e indubbio affiatamento, evitando forzature e soprattutto le soluzioni più scontate di tanta fusion che imperversava nei secondi anni Settanta. L'album è stato ristampato in CD da Musea.

"Mandarine"

  Exit   - Originari di Frauenfeld, capitale del cantone svizzero della Turgovia, gli Exit sono una band minore, responsabile di un solo album. I fondatori nel 1972 sono Andy Schmid (chitarra e armonica) e il batterista Kafi Kaufmann, e una volta stabilizzato come quartetto il gruppo comincia una serrata attività live, tra l'altro aprendo i concerti di nomi già noti del prog tedesco quali Birth Control e Jane. Soltanto nel 1975 viene quindi realizzato l'album omonimo, autoprodotto in circa trecentocinquanta esemplari, che naturalmente resta confinato nell'ambito locale. Il carattere privato del disco traspare anche dalla qualità non impeccabile della registrazione, a quanto pare effettuata su due sole piste, e per la verità anche dai limiti della proposta musicale. Tecnicamente i quattro musicisti non sono male, e mostrano un certo brio, ma scontano un'elaborazione semplicistica dei temi, anche quando ci sarebbero le premesse migliori: è come se la loro musica fosse ancora legata al decennio precedente, senza aver assimilato quanto il prog maggiore dell'epoca stava proponendo. Nel dettaglio, l'iniziale "Paradise" è costruita s'un riff petulante di chitarra subito affiancato dall'organo di Roman Poitoil, che si prodiga molto anche al sintetizzatore, mentre la voce di Schmid, a tratti supportata dal coro, non è sicuramente esaltante: c'è ritmo e grinta, ma l'insieme suona poco eccitante. "Balade of Live" (inglese maccheronico per "Ballad of Life"?), aperta dal verso dei gabbiani in un'atmosfera marina, si articola ancora sull'organo e sul canto trasognato in lingua inglese, con evidenti richiami ai Pink Floyd del periodo psichedelico: le variazioni tastieristiche, col synth ancora in evidenza, costruiscono l'ossatura del pezzo insieme ai modesti soli chitarristici di Schmid. Poitoil dimostra almeno una certa verve nel fraseggio all'organo, specie in "Talk Around", ma il brano, seppure ricco di spazi improvvisativi e con l'armonica a bocca in primo piano, si dilunga fin troppo senza grande fantasia. La chiusura di "Bad Gossip", più assorta nel suo lento incedere sulle note della chitarra solista, non modifica il valore complessivo di una sequenza che resta decisamente mediocre. Dopo l'album il gruppo rimase attivo fino al 1979, e Schmid e Kaufmann si dettero ancora da fare, ma senza risultati. Più avanti, il chitarrista morì durante un concerto tenuto in Egitto, nel 2001. Ristampa in CD della spagnola Picar.

"Exit"

  Exmagma   - Gruppo tedesco che si forma nell'area di Stoccarda nel 1970. In realtà il primo nome è Magma, poi cambiato in Exmagma dopo aver scoperto l'esistenza della band francese omonima. I fondatori sono Andy Goldner (basso/chitarra/fiati) e Thomas Balluff (tastiere), entrambi reduci da varie esperienze in piccole band locali. Nel 1972 l'ingresso del batterista Fred Braceful, americano di Detroit arrivato in Germania nei tardi anni Cinquanta come militare, e con varie collaborazioni alle spalle (incluso il gruppo Et Cetera), completa il terzetto che realizzerà i due album più noti. Dopo numerosi concerti in patria, ma anche in Olanda, Belgio e Francia, gli Exmagma realizzano il primo album omonimo con l'etichetta Neusi nel 1973. Cinque tracce decisamente al di fuori di ogni formula, interamente improvvisate e prive di parti vocali, con il trio che esplora nuove sonorità: dalla suggestiva apertura di "First Tune", ipnotica fantasia per organo, basso e batteria con effetti sovraincisi, alla lunga "Trippin With Birds/Kudu/Horny", registrata live in studio, che occupava tutta la seconda facciata con la sua ricetta ancora più informale, nella quale si distinguono synth, piano elettrico, percussioni e sax oltre a svariati effetti elettronici. E' musica sperimentale, a volte rarefatta fino al silenzio ("Tönjès Dream Interruption"), oppure prossima al linguaggio della fusion, come "Interessante Olé", con basso e organo in evidenza. Un esordio molto personale, che davvero poco o niente concede al pubblico del rock. La band si trasferisce quindi in Francia, suonando intensamente dal vivo e maturando il secondo album, "Goldball" (1974), prodotto da Conny Plank, che sceglie un diverso approccio: stavolta ci sono vere composizioni, e lo stile si fa più articolato. Splendido l'attacco di "Marilyn F. Kennedy", breve jazz-rock suonato alla grande con il basso di Goldner in grande spolvero insieme all'organo. Poliritmi, suoni inventivi e un amalgama perfetto esaltano le qualità tecniche del gruppo, assistito da una produzione all'altezza. L'organo e il piano elettrico di Balluff, insieme alla chitarra ritmica, scandiscono la seducente "Groove", tra i picchi della sequenza. Si segnalano quindi "Adventures with long. S. Tea 25 two seconds before sunrise", titolo che rimanda all'LSD (il trio ne faceva largo uso!), dalla scansione irregolare e ricca di effetti disturbanti, e l'atmosfera ipnotica di "Dada", che si accende nel finale sulla chitarra solista. In "Jam Factory For People Insane" si ascolta la voce di Goldner, ma soprattutto il raffinato lavoro percussivo di Braceful, mentre totalmente improvvisata è "Greetings to Maroccan Farmers": una parata di trovate con pianoforte e percussioni protagoniste, oltre a flauto, sax e tromba, più vocalizzi e rumoristica assortita. Un terzo album, doppio, viene poi registrato nel 1975, ma non pubblicato per divergenze con la Barclay Records: la band si disperde, mentre "Exmagma 3" vedrà la luce solo nel 2006. Ristampe di Daily Records. Altre notizie nel sito di Andy Goldner.

"Goldball"

  Exploit   - Esponenti minori del prog italiano, gli Exploit nascono a Roma sul finire degli anni Sessanta in una formazione a cinque. Presto però il chitarrista Piero Stano rimane l'unico superstite della prima fase all'interno di un nuovo quartetto che include il giovane tastierista Carlo Crivelli (classe 1953). Il gruppo suona per un periodo con il cantante melodico Bruno Filippini, noto a metà decennio per singoli come "Sabato sera" e "L'amore ha i tuoi occhi", di buon riscontro anche in Spagna e Sud America. Quando Stano lascia per il servizio militare viene a formarsi un trio che, oltre a Crivelli, include il bassista e cantante Enzo Cutuli e il batterista Aldo Pignanelli. Messi sotto contratto dalla CGO, i tre realizzano un paio di 45 giri: prima "Il campanile della cattedrale"/"Giochiamo insieme" (1971), seguito l'anno dopo da "L'anima nuda"/"La tua pelle scotta", tutti brani inseriti nell'album "Crisi", pubblicato nel 1972. Il disco è diviso in due parti nettamente distinte per stile e contenuti: se nella seconda trovano posto sei canzoni pop, la prima è invece occupata dalla lunga suite omonima in tre segmenti, per un totale di oltre venti minuti. Il primo tempo, "Speranza", si apre sulle cupe tonalità dell'organo, che poi sviluppa vivaci combinazioni con il basso molto creativo e melodico di Cutuli: col dinamico apporto del batterista Pignanelli, il gruppo riecheggia atmosfere tipiche di altre formazioni triangolari del periodo, E.L.P. in testa, e Crivelli si destreggia con apprezzabile disinvoltura tra organo e pianoforte, mentre il bassista interpreta liriche in lingua inglese. Sviluppato su basso e clavicembalo, il secondo segmento che intitola l'album è cantato in italiano tra digressioni tastieristiche in una chiave di rock barocco che richiama Le Orme di "Collage", mentre la terza parte, "Pazzia", con parti vocali ancora in inglese, si apre con un lungo assolo di batteria, finché tornano in cattedra organo e clavicembalo: il piglio è più brioso e mordente, pieno di fratture ritmiche, tra pause e riprese guidate dall'estro pirotecnico di Crivelli. Tutto cambia con i sei brani che completano l'album, improntati a un pop-rock non certo esaltante. Il migliore è "Anche se ho sbagliato", con l'organo affiancato da una bella chitarra distorta sotto la voce grintosa, come pure succede ne "L'anima nuda", stavolta con voci corali e il ritmo che s'impenna insieme alla chitarra, ma il resto è mediocre. La band si scioglie dopo un altro 45 giri del 1973, quando Cutuli parte militare, e "Crisi" resta emblematico di una stagione musicale ricca sia di fermenti innovativi che di contraddizioni e compromessi con la discografia dell'epoca. Carlo Crivelli si afferma poi a livello internazionale come compositore di colonne sonore, tra l'altro per molti film di Marco Bellocchio: da "Diavolo in corpo" fino a "La Balia" e "Vincere". Ristampe di Mellow Records (CD) e Sonor Music Editions (vinile).

"Crisi"


 

 

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